Il Messaggero, 30 ottobre 2022
Prezzi record per i tartufi
Alla Borsa specializzata di Acqualagna nelle Marche riferimento per tutta Italia le stime per l’intera stagione (dall’ultima domenica di settembre al 31 dicembre) indicavano in 2.500 euro al chilo le pezzature fino a 15 grammi, intorno a 3.500 tra 15 e 50 grammi, 4.500 per quelle oltre i 50 grammi. Previsioni già abbondantemente superate lo scorso weekend quando il pregiato tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico è il nome scientifico) ha toccato nelle tre diverse categorie i 2.980 euro per i pezzi piccoli, 4.330 per i medi, 6.280 per i grandi, con una media quindi di 4.530 euro al chilo.
EXPLOIT
«In settimana racconta Luigi Dattilo, di Appennino Food nel bolognese, uno dei tre player maggiori del settore (gli altri sono l’umbro Urbani e il piemontese Tartuflanghe) abbiamo venduto un pezzo da 360 grammi a 6.600 euro al chilo». Con questi valori di partenza, poi al ristorante una veloce grattata su un piatto di tradizionali fettuccine o su un semplice uovo fanno lievitare il costo fino a 8-10 mila euro al chilo. Insomma, non stiamo parlando di prezzi popolari, né di clienti particolarmente preoccupati per l’inflazione.
«Comunque precisa Dattilo una piccola noce da 20 grammi la si può comprare a 60-80 euro, togliendosi lo sfizio». «Dalle Langhe alle Crete Senesi, da Acqualagna all’Umbria sintetizza Alessandro Regoli autore di un dossier su Winenews per colpa del grande caldo e dell’estrema siccità, è un’annata povera e difficile per i tartufi, che sono buoni come sempre nella qualità, ma pochi, pochissimi come non mai in quantità». Gli oltre 100 giorni di siccità la peggiore degli ultimi 100 anni hanno causato al momento un drastico calo di circa il 60% della produzione. «Il tartufo spiega Dattilo diventa buono col freddo, ha bisogno di acqua, freddo, nebbia, notti che quando ti svegli trovi l’erba congelata. Tutto l’apparato radicale superiore è invece bruciato; produce solo l’apparato radicale inferiore, quello più profondo. Così è in tutta Italia e il prezzo si è livellato, non esistono più differenze, anche perché parliamo di un prodotto globalizzato». E di un mercato che continua a crescere.
«Da quando la pandemia Covid ha rallentato racconta Dattilo che commercializza in tutto il mondo circa 40 quintali di tartufi c’è stata una esplosione di richieste, particolarmente per i prodotti perfettamente conservati, raccolti in tempi diversi e quindi con prezzi più contenuti». «Gli americani aggiunge continuano ad essere gli acquirenti maggiori, mentre l’unico Paese che prova a farci concorrenza è la Croazia che però non può vantare l’immagine consolidata del made in Italy alimentare. Piccolissime raccolte anche in Serbia e Romania». In Italia è impossibile dare un valore preciso al settore.
IL VALORE
Una stima approssimativa (comprensiva del tartufo nero) è di circa mezzo miliardo di euro grazie a 80-100 mila raccoglitori in quasi tutte le regioni (solo Sicilia, Valle d’Aosta, Friuli, Puglia e Trentino non hanno il bianco). «Purtroppo spiega Pier Ottavio Daniele, piemontese, analista del settore è un mondo sommerso col tartufo sempre in bilico tra l’essere considerato prodotto agricolo o di lusso. Spesso i commercianti si spacciano senza esserlo per cercatori liberi sfruttando le agevolazioni previste».
Ben più consistente il giro d’affari dell’indotto, a partire dalle fiere che tra ottobre e novembre attirano appassionati da tutto il mondo. L’Internazionale del tartufo bianco d’Alba è già all’edizione n. 92; la Nazionale di Acqualagna alla 57sima edizione; la Mostra mercato di San Miniato alla 51esina e quella delle Crete Senesi a San Giovanni d’Asso alla 36esima. «In nove settimane di fiera afferma Liliana Allena, presidente della fiera di Alba generiamo una ricaduta sul territorio di 150 milioni di euro; l’anno scorso abbiamo venduto oltre 700 chili di tartufo bianco». Sull’onda del successo, si sviluppano anche i territori vicini, meno noti e spesso più autentici «Il mio consiglio interviene Pier Ottavio Daniele è di scoprire anche i territori meno battuti dal turismo, più autentici, come il Monferrato, dove ci sono tante tartufaie».