il Giornale, 30 ottobre 2022
Pomodori e stupidità. La protesta nei musei
La notizia è buona. I musei ci sono. Tutto quello di cui si parla oggi accade nei musei. E non si tratta di grandi mostre per specialisti e amatori, ma di proteste, manifestazioni, provocazioni come un tempo nelle Università o nelle piazze. I musei tirano, non sono più luoghi riservati ai turisti (pochi, e sempre da altrove), o completamente deserti, disertati da tutti. Gli episodi degli ultimi tempi parlano chiaro. E più che parlare dell’obiettivo della denuncia, della protesta o della provocazione, parlano dei musei. Come in un film muto vediamo la zuppa di pomodoro contro i girasoli di Van Gogh a Londra; il purè di patate contro il quadro di Monet a Potsdam. Il monito potente contro il cambiamento climatico si manifesta con un innocuo e infantile gesto di carattere gastronomico. Non tutti disapprovano, qualcuno osserva che Van Gogh non si sarebbe dispiaciuto di quella zuppa di pomodoro. Si manifestano esercizi di ingegno: «come possiamo amare i girasoli dipinti se distruggiamo sistematicamente la natura che fa nascere i girasoli veri?». La direttrice della Galleria estense di Modena, Martina Bagnoli, arriva a scrivere: «Va detto però che con questo coup de théâtre non si è fatto male nessuno se non un po’ gli attivisti che si sono incollati le mani alla parete del museo. Il dipinto infatti era protetto da un vetro, per cui è rimasto illeso. Alla luce dei fatti il gesto dei giovani più che vandalico sembra poetico. È straziante il loro grido di rivalsa: vale più l’arte della vita?».
La piazza delle innocue proteste è dunque il museo. L’escalation lo conferma. Due attivisti verdi si sono incollati alla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer del Mauritshuis dell’Aja, per una forma di incontenibile affetto. Ma hanno fatto incomprensibile scalpore due bellissime ragazze che, sulla scia della Ferragni, hanno postato alcuni selfie su di una innocua passeggiata agli Uffizi davanti alla Primavera e alla Nascita di Venere di Botticelli. Il morigerato direttore del museo, mio buon amico, ha eccepito che erano leggermente discinte, come se non lo fossero le creature di Botticelli. Tutti hanno visto le attraenti OnlyFans Eva Menta e Alex Mucci, in abiti trasparenti, passeggiare per gli Uffizi. Il direttore ha mal sopportato che non avessero pagato il meraviglioso set come ha fatto Vogue per la Ferragni. Non c’è altra spiegazione al suo disappunto, trattandosi di fenomeni analoghi di esibizionismo e narcisismo. Viceversa, qualcuno commenta: «il rischio di questa posizione politica degli Uffizi è che la discriminatoria della concessione sia solo il contributo economico elargito».
Ha ottenuto, per converso, vasta approvazione la noiosa performance di Liu Boli, il camaleonte dell’arte contemporanea, arrivato a Firenze per un nuovo progetto. Conosciuto per le sue azioni in cui si integra totalmente nell’ambiente grazie a un body painting integrale, arrivando a scomparire nell’immagine, l’artista cinese è impegnato in questi giorni, insieme ai suoi, tra la Galleria degli Uffizi e Palazzo Pitti, scelti come primi spazi del suo programma «performativo/espositivo».
Chi stabilisce cosa sia giusto e sbagliato in manifestazioni che trasformano il museo in teatro, con esiti di efficace propaganda? Se vogliamo uscire dal vandalismo e dalla provocazione per fini nobili, occorre rinunciare a ogni giudizio moralistico. Tra i primi ne fu vittima Graziano Cecchini, intelligente performer che rese rossa la fontana di Trevi con la restituzione della vita in una metaforica e immaginifica attività mestruale, e con la dissacrazione di un santuario di cultura popolare attraverso il gioco evidente, nella sua provocazione avanguardistica, ovvero, visto il luogo: «fu-turista». Per questo divertimento, seriosamente condannato da Veltroni e da Rutelli, lo premiai con la nomina ad «assessore al nulla» del comune di Salemi. Altri tempi, ma identico e incomprensibile scandalo.
I luoghi dell’arte diventano spazi teatrali, nei quali si rappresentano una inquietudine e un malessere. Ma si certificano i santuari di una nuova sacralità. Ultimamente tutto avviene lì, per la forza di attrazione dei capolavori e per la considerazione sbagliata del loro valore materiale, che ha a che fare con il danaro, con la esecrata ricchezza. Monet, Van Gogh, Vermeer, simboli di potere economico in luoghi che sono visitati non per il valore estetico delle opere, ma per il loro richiamo come idoli di massa. Davanti a loro, e in rapporto con loro, si determina un effetto magico: che si parli dell’accaduto. Ma talvolta l’accaduto parla del luogo, e della ragione per cui le due giovani donne, sempre le OnlyFans, sono accusate di avere sfruttato gli Uffizi. Ma in realtà esse hanno avuto l’intuizione di trasferire la piattaforma mediatica dei loro fans masturbatori in una piattaforma reale, dove il nudo delle ragazze, belle, si interseca con il nudo artistico, intrecciando mondi diversi e scambiando nudo artistico con nudo pornografico, solo apparentemente coincidenti. Se non nell’altro paradosso, più scandaloso, che indica l’indifferenza, non davanti all’occhio umano ma davanti all’occhio del web, tra valori artistici ed esibizioni sordide, ovvero tra arte e pornografia.
È quello che accade quando l’algoritmo di Facebook o di altri social censura i nudi femminili, e anche maschili, di Antonio Canova nel museo Gypsotheca di Possagno, di cui non si può fare comunicazione se non censurata. L’algoritmo non distingue tra capolavori assoluti e nudi pornografici. Ciò determina l’effetto opposto a quello registrato agli Uffizi. Lì, Eva e Alex promuovono Botticelli; a Possagno, la Venere italica e le danzatrici discinte vengono scambiate per Eva e Alex, tette e culi esibenti. Auspichiamo quindi che si tolga la censura in entrambi i luoghi: all’arte di Canova a Possagno, e alle due ragazze agli Uffizi. Esse, in fondo, sono state utili al museo. E forse, venendo a Possagno, potrebbero distrarre l’algoritmo dai nudi di Canova. Le inviterò.