il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2022
Caro-bollette e tassi: utili record per Eni e banche
Il caro-energia fa galoppare l’inflazione che in molti Paesi europei (ma non in tutti) tocca i massimi da oltre quarant’anni. La Banca centrale europea tenta di contenerla (sinora invano) alzando rapidamente i tassi. Il combinato disposto di questi due fattori trasferisce ingentissime somme dalle tasche di consumatori e debitori alle casse di società oil & gas e banche, che non a caso festeggiano una sequenza di extraprofitti stellari. Così, dopo il flop della misura adottata dall’esecutivo Draghi, il governo Meloni annuncia una revisione della tassa sugli utili eccezionali delle imprese del settore dell’energia, ma la proposta sinora è nebulosa.
Il gigante nazionale Eni nei primi nove mesi ha avuto utili consolidati per 10,8 miliardi, quadruplicati rispetto allo stesso periodo del 2021. Una fetta importante, la maggiore, dei 40 miliardi di utili attesi nel settore petrolifero in Italia entro fine anno, secondo le previsioni varate dal governo Draghi al momento di emanare la tassa sugli extraprofitti. Ma i manager della società fanno sapere che le attività nazionali hanno perso più di un 1 miliardo, anche per via del primo versamento della tassa contro la quale hanno già fatto appello e ricorso al Tar. Secondo i dati dell’azienda, dal 2014 le perdite accumulate in Italia da Eni ammontano 10,7 miliardi e una perdita netta di rendimento accumulata per 21,3 miliardi.
Eni non è un caso isolato. Grazie alla guerra della Russia contro l’Ucraina che ha spinto alle stelle i prezzi di petrolio e metano, quest’anno i profitti delle maggiori compagnie petrolifere mondiali sono già saliti a oltre 175 miliardi. Nei primi nove mesi del 2022 la britannica Shell e la francese TotalEnergies hanno registrato profitti di 58,6 miliardi. Nel solo terzo trimestre la statunitense Chevron ha registrato un utile netto di 11,1 miliardi e ExxonMobil di 18,5, i più alti nei suoi 152 anni di storia. Secondo stime, la britannica Bp dovrebbe superare i 20 miliardi. L’anglolandese Shell nel terzo trimestre ha registrato utili per 9,4 miliardi a fronte dei 4,1 miliardi di un anno fa. Nel frattempo i rincari dell’energia si sono abbattuti sui consumatori passando da gas e carburanti ad alimenti, abbigliamento e altri prodotti. A beneficiarne sono gli azionisti, premiati dai dividendi stellari e dal rifinanziamento dei piani di riacquisto di titoli (buyback) che ne incrementano i rendimenti.
Ma le compagnie dell’energia non sono le sole a lucrare. Grazie al rialzo dei tassi deciso da numerose Banche centrali, negli Usa come nell’Eurozona (solo l’altroieri la Bce ha portato il tasso ufficiale al 2% con un nuovo aumento dello 0,75%) e nel resto del mondo, dopo un quindicennio di magra torna a crescere il margine di interesse che gli istituti di credito realizzano dalla differenza tra il costo pagato per il denaro che ricevono in deposito e i ricavi che realizzano dai prestiti che concedono.
I bilanci delle banche così vedono crescere gli utili. Nel terzo trimestre Deutsche Bank, il maggior istituto di credito tedesco che negli anni scorsi è stato spesso in estrema difficoltà anche a causa degli scandali, ha registrato l’utile lordo più alto dal 2006, più che raddoppiato su base annua a 1,6 miliardi. La spagnola Santander, leader nell’Eurozona, ha segnato utili trimestrali per 2,42 miliardi, battendo le stime (2,19) trainata dal margine d’interesse cresciuto del 19% annuo nonostante l’aumento dei crediti inesigibili.
UniCredit, la maggior banca italiana, in nove mesi ha realizzato utili per 4 miliardi, uno in più sullo stesso periodo del 2021 e oltre le attese degli analisti. I riflettori passano ora sull’altro campione nazionale, Intesa Sanpaolo, che annuncerà i propri risultati venerdì prossimo: le attese sono di forte crescita. La Bce ha chiuso il rubinetto del Tltro, l’operazione di finanziamento delle banche a tassi a zero per sostenere l’economia durante la pandemia, che stava per regalare al settore altri 40 miliardi di extraprofitti. Ma i risultati del credito sfavillano comunque: basta il “normale” rialzo dei tassi base a sostenerli. Famiglie e imprese che pagano le rate di mutui e prestiti a tasso variabile, invece, piangono lacrime amare.