Corriere della Sera, 30 ottobre 2022
Intervisa a Rosalind Picard
Rosalind Picard è una pioniera: ha capito per prima l’importanza delle emozioni nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Nel 1997 ha scritto il libro Affective Computing (informatica affettiva) inaugurando un nuovo settore di ricerca al Media Lab del MIT, il prestigioso laboratorio del Massachusetts Institute of Technology negli Usa. L’8 novembre Picard riceverà a Milano il Premio internazionale Lombardia è ricerca 2022, per la migliore scoperta nell’ambito delle scienze della vita.
Professoressa Picard, come inizia il suo percorso?
«Cercavo di capire la dimensione percettiva del cervello: queste sue parti che hanno a che fare con l’emozione, la memoria e l’attenzione. Non volevo occuparmi di emozione, in quanto donna e ingegnera che voleva essere presa sul serio, ma i miei studi non facevano che riportarmi ad essa. Con tutti gli input che ricevi, come fai a sapere su cosa focalizzarti e cosa conta davvero? Nessun computer lo sa. Forse, ho pensato, hanno bisogno di qualcosa come le emozioni. E studiandole ho capito che non sono importanti solo per la percezione ma anche per le decisioni razionali, il che mi è parso stupefacente. Ammetto che ci ho messo un po’ a capire che lo è anche per l’interazione sociale. Noi ingegneri del MIT siamo come Spock (di Star Trek ndr): pensiamo di essere obiettivi e perciò ritenevo per lo più irrilevanti le emozioni. E la maggioranza dei colleghi, quand’ho iniziato a parlare di Affective Computing mi chiedeva: perché? È solo “rumore”. Ho scritto il libro per far capire che era importante per il futuro dell’interazione intelligente tra esseri umani e computer. L’Intelligenza Artificiale si era arenata... e onestamente è ancora arenata. Non era flessibile né piacevole nell’interazione, le persone mostravano rabbia verso i loro stupidi computer. E ho pensato: se sono intelligenti, devono poter leggere i nostri segnali. È stato l’inizio dell’Affective computing».
Non volevo occuparmene per essere presa sul serio come donna e ingegnera ma tutto
mi riportava a loro
Dove si è arenata l’Intelligenza artificiale?
«In punti diversi: all’inizio si riteneva che si dovesse usare la semantica più che la matematica. Quando iniziai a insegnare il primo corso di Machine Learning al Media Lab nel 1992 (il secondo al MIT) Marvin Minsky, uno dei fondatori del campo dell’Intelligenza artificiale, mi disse che non era Intelligenza artificiale. E io ero d’accordo. Oggi invece quando la gente parla di Machine Learning, lo considera Intelligenza Artificiale: la definizione cambia. Ma tuttora i computer non pensano e non capiscono davvero, possono simulare le emozioni ma non le sentono. Oggi si è arenata nel senso che persone che ci lavorano dimenticano quant’è importante il contesto: ci sono stati progressi nell’insegnare all’AI a riconoscere le espressioni facciali ma interpretarle e capirle nel contesto è davvero difficile».
In questo campo ci siamo un po’ arenati. I computer riconoscono espressioni facciali ma non le capiscono nel contesto
Lei è una pioniera nel campo di braccialetti e dispositivi indossabili: possono leggere le emozioni?
«Non leggono i sentimenti interiori, ma cose come le variazioni del battito cardiaco o la conduttanza cutanea: quando le mani sudano perché sei nervoso o sei eccitato in anticipazione di qualcosa e il cervello stimola cambiamenti nell’elettricità cutanea... Non leggono le emozioni ma segnali fisiologici che in contesti ristretti possono essere correlati a eccitazione anticipatoria. Attenzione: è correlazione e non causalità».
Non è importante sapere chi tra Usa e Cina vincerà la gara tecnologicama chi
ci renderà
la vita migliore
In Cina gli autisti di autobus hanno dovuto indossare braccialetti che misurano il loro stress. Cosa ne pensa?
«Nel mio libro c’è un capitolo sulle potenziali preoccupazioni per queste tecnologie. Come quando compagnie e governi richiedono di condividere i propri dati affettivi al di là di quanto può essere di beneficio alle persone. Quando le aziende ci hanno chiesto di misurare lo stress dei dipendenti, noi abbiamo risposto che era una cattiva idea, tranne se gli impiegati volevano monitorarlo senza che l’azienda vedesse i risultati. Lo abbiamo fatto con questi criteri, e alla fine un gruppo di dipendenti ha voluto mostrare alcuni dati ai capi per far capire che una certa politica dell’azienda era stressante».
Chi vince tra Cina e Usa nell’Intelligenza artificiale ?
«La Cina punta su pubblicazioni e conferenze (anche finte) per rivendicare il primato. Ma la vera domanda è: chi rende la vita migliore?».