La Stampa, 30 ottobre 2022
Carlo Massarini a colloquio con Diego De Silva
Carlo Massarini. Come ti è venuto in mente di chiamare MrF?
Diego De Silva. La musica è sempre molto presente nei libri di Malinconico. Mi piace molto giocare con la cosiddetta canzonetta leggera, perché credo che contenga il costume italiano molto più della canzone d’autore. MrF per noialtri rappresenta il grillo parlante che pensavamo potesse uscire dalla lampada magica del tubo catodico, che finalmente ci portava in casa i video degli artisti che amavamo e che erano difficilissimi da vedere.
C. M. Nessuno ha pensato che fosse un rischio?
D.D.S. No, buchi il video allora come adesso. Sembri nato lì dentro.
C. M. Cosa rappresenta Malinconico? Hanno commentato: un filosofo, un uomo comune che si riscatta, un antieroe nel quale ognuno può ritrovarsi.
D.D.S. In lui c’è molto della poetica del loser, la differenza sulla quale insisto sempre fra perdente e fallito. Malinconico è uno abituato a fare i conti con la sconfitta, ma il fallimento è un’altra cosa. È una persona abituata a cadere, a disagio nei vari luoghi che la vita gli assegna, un tratto in cui ognuno si può riconoscere, ogni volta che la vita lo chiama a essere padre, marito, amante, professionista. E poi c’è un’altra cosa che lo differenzia dagli altri protagonisti seriali: lui non è indifferente all’anagrafe, sta invecchiando con me. Nel nuovo romanzo è diventato nonno di un bambino nero e quindi si ritrova fra le braccia questo bambino di cui non era stato avvisato, e ovviamente si innamora perdutamente. Questa vicenda dell’anagrafe è anche molto legata al tuo personaggio…
C. M. Ma MrF è di 40 anni fa…
D.D.S. …ma per noi innamorati del rock è anche un contenitore di memoria. Tu sei quello che ci ha dato questo incontro ravvicinato del 3° tipo con la musica che amavamo ed eravamo abituati solo a sognare. Chi ha incarnato questo sogno di figure fantasmatiche che diventavano carne e ossa è stato MrF. Noi pensiamo con nostalgia alla tua figura perché tutte le volte che la tv riesce a toccare degli aspetti importanti della vita delle persone – può esser la musica, la letteratura– hai nostalgia di quella tv che si potrebbe fare e non si fa, che è un mezzo potentissimo e ogni volta che ci pensi capisci come la tv rimanga ancora oggi uno strumento poco utilizzato, e quanto si sarebbe potuto fare. Ecco, penso che MrF contenga anche il suo mancato, che capisci cosa voglio dire.
C. M. Bella considerazione. Faccio io l’avvocato del diavolo: i tempi sono anche cambiati, quel genere di programma forse è un po’ fuori del tempo, no?
D.D.S. Secondo me no. Oggi c’è un consumo della musica molto veloce, superficiale, mentre la nostra generazione aveva una concezione molto valoriale del tempo. Noi compravamo il tempo dell’artista, non era semplicemente comprarne l’opera. Quando usciva il disco di un artista che amavi moltissimo diventava fondamentale capire cosa aveva vissuto in quei due anni, cosa era cambiato per lui, la sua visione del mondo aveva molto a che fare con lo scorrere della vita.
C.M. Anche della tua, certo…
D.D.S. Tu compravi il tempo di un artista, voleva dire: mi è piaciuto, voglio sapere cosa farai da adesso in poi, e quindi ti finanzio.
C.M. Forse adesso c’è così tanta comunicazione che sai già tutto e questo leva quel velo di mistero che una volta era parte integrante della scoperta, eri meno informato ma la ricerca era più fascinosa.
D.D.S. Sicuramente, siamo in un tempo sovraccarico di informazione e la reazione è come quella dei bambini, che si stufano di un gioco e ne vogliono subito un altro. E secondo me ha molto a che vedere col lutto. Perché soffriamo tanto quando muore un artista importante. Perché ne sentiamo la mancanza? Non è solo che non possiamo più fruire egoisticamente dell’opera, c’è questa sensazione che finché vive in qualche parte del mondo, che stia lavorando o no, il solo fatto che ci sia rende il mondo meno cafone.
C.M. In che senso?
D.D.S. Quando è morto Bowie il mondo ha perso tantissimo. Queste sono le grandi perdite, perché rendono più faticoso e più incafonito il tempo presente. Il mondo è comunque migliore finché loro sono vivi. Quando è morto Fabrizio De Andrè, il nostro lutto è stato veramente poetico. Queste cose fanno parte anche del mondo di Malinconico.
C.M. Che è amico immaginario è Mr F per Malinconico? Un amico serve a confortarti, a ridere, a pensare o a non farti pensare: nella tua logica perché MrF era un buon amico?
D.D.S. Perché arriva nei momenti nevralgici, difficili, e non con una parola consolatoria, ma con una critica o un consiglio: lo fa attraverso l’artificio musicale, che è una forma di conoscenza del mondo, e Malinconico la riconosce come tale. Nel balletto di Bob Marley c’è un senso di spensieratezza che tiene comunque conto del fatto che il mondo è un posto di merda, questa è la grandezza del pezzo.
C.M. È interessante che molte delle risposte ai miei post su Facebook dicano “ah, come mi piacerebbe anche a me avere un amico immaginario come MrF”, l’idea di una figura di fantasia –un po’ reale un po’ no– ha avuto impatto, mi ha divertito e sorpreso.
D.D.S. Io non sono meravigliato affatto, quello che mi meraviglierebbe, e spero che lo farà, è se MrF riuscirà a raggiungere anche un pubblico più giovane. Pensa che bello se MrF con tutto il suo valore simbolico di contenitore di memoria riuscisse ad arrivare anche ai ragazzi.
C.M. Chi potrebbe esser una figura come MrF oggi?
D.D.S. Mah, forse potrebbe essere un Manuel Agnelli, per un certo equilibrio con cui l’ho sentito parlare: a X-Factor aveva una capacità di giudizio serena, rigorosa, e allo stesso tempo filtrata attraverso una competenza e ascolto di lunga data…
C.M. …io trovo Fedez bravo a fare il giudice, lascia perdere il musicista...
D.D.S....mentre invece questi ragazzotti fanno un’edizione di Sanremo e si mettono a fare i giudici… Ma perché chiamano Rkomi o Dargen e non Finardi?
C.M. Perché non è un personaggio giovanile? È uno colto e di una certa età, appunto.
D.D.S. Ma lo è stato, ha avuto la sua gioventù: è una cosa che non viene tenuta molto in considerazione, ma i giovani oggi hanno una gran voglia – i più sensibili, non tutti – di confrontarsi con chi alla loro età ha avuto esperienze significative, perché nel contemporaneo non hanno niente. Hanno Internet, hanno questa voglia di essere sempre presenti, opinare su tutto…
C.M. …tutto e niente...
D.D.S. …non hanno vissuto periodi critici, anche sbagliati come abbiamo vissuto noi. Ma Carlo, se te lo devo dire, a noi c’è andata di culo…
C.M. Ah su questo sono d’accordo. Siamo passati dai Beatles allo streaming, attraversando qualsiasi cosa, vuoi mettere?
D.D.S. Alcuni anni fa ho fatto un film con Maurizio Scaparro, e la musica l’ha fatta Mauro Pagani: mi disse una cosa che mi colpì: “io oggi non vorrei esser giovane manco morto”. Pensa alla gioventù che ha passato, se avesse la possibilità di avere 20 anni che farebbe? Magari lo boccerebbero a XFactor, capisci?
C.M. Un’altra cosa che mi ha colpito nelle risposte ai miei post su Facebook è stato “Parte Glad e mi sento subito adolescente”, “ti ho visto e di colpo mi son trovata al liceo”. Tu che ne pensi? Perché la nostalgia è sempre un sentimento a doppio taglio.
D.D.S. Mah, la nostalgia secondo me, come ti dicevo, è quella di una tv che potrebbe essere e non è. Quello è il primo livello. Il secondo è che poi immediatamente la musica e l’impianto scenografico della trasmissione, che aveva un sapore avanguardistico per l’epoca e tutt’ora, all’inizio non capivi cosa fosse, era una cosa nuovissima per un messaggio tv molto risicato, avevamo solo…?
C.M. …due canali, e una programmazione che andava da mezzogiorno a mezzanotte.
D.D.S. È il ricordo di una rarefazione estetica dove poi accadeva la musica. Ma dimmi, come valuti tu il rapporto di Malinconico con i sentimenti, che non è solo con le donne: da amico immaginario conosci il suo essere genitore, essendo anche tu un padre.
C.M. Ovviamente la mia figura è più aperta. Io nella vita do per scontato che tutto possa accadere, e quindi non mi meraviglio di (quasi) nulla, è nell’ordine delle cose. Sono meno colpito dall’inaspettato, diciamo che la lezione di Peter Gabriel, “expect the unexpected”, l’ho assunta a stile di vita, come anche la frase di John Lennon rivolta al figlio in “Beautiful Boy”, “la vita è quello che succede mentre stati facendo altri piani”. Però lo vedo resiliente, con la capacità di non affondare, di rimanere in qualche modo a galla.
D.D.S. Chiamala strategia di sopravvivenza…
C.M. Ha una sua tenerezza di fondo non comune. Per cui l’avvocatessa-conquista-impossibile si innamora, o almeno non lo manda al diavolo. E fare tenerezza, che non è fare pena, è una qualità che abbassa la soglia dell’aggressività delle le altre persone.
D.D.S. Ed è difficile conservarla perché la vita ti porta a inacidirti, a essere più cinico, anche perché quando prendi mazzate ti porta a difenderti. Però se vuoi puoi conservare degli aspetti anche un po’ puerili.
C.M. Ma lui è in fondo è rimasto un po’ fanciullo, con i suoi difetti, perché rimanere fanciullo vuol dire anche non evolversi come uomo. Non è uno che sentimentalmente si è evoluto tantissimo: casca nelle situazioni ambigue con la ex-moglie, nei suoi vizi di fondo con la nuova. È allo stesso tempo non evoluto e tenero, “perdente e motivato, motivato ma perdente”. Ma quando deve essere tagliente sa esserlo, e questo è importante, se no sarebbe solo uno alla deriva. Non è bonaccione.
D.D.S. Cosa ti aspetteresti da un seguito?
C.M. Forse metterei più a fuoco l’amico immaginario. Lui ogni tanto fa in voce narrante delle digressioni su come vede la vita. Mi aspetterei un confronto meno a gag e più riflessivo. Qualche parola in più che possa cementare, dare sostanza al rapporto e non solo un’estetica giocosa.
D.D.S. Il successo che mi auguro crescente ci permetterà di far crescere anche il personaggio di MrF, farlo dialogare in maniera più approfondita.
C.M. Anche perché molta gente che mi ha visto veramente non sapeva che fine avessi fatto, non sa che ho fatto Mediamente, che ho scritto libri, che son tornato in tv sia su Rai5 con Ghiaccio Bollente che su La 7 con Startup Economy: i miei due binari, musica e innovazione. Lì forse c’è un percorso dove MrF si mischia con Carlo. Ma l’importante, per quello che ho visto, finora, è mantenere il registro surreale: vado e vengo dal nulla, faccio partire la musica con una magia, tipo schioccare le dita. Non ne uscirei, perché funziona a contrasto con il tono della commedia. Sempre giocando più sul duplice registro fantasia/realtà. In fondo sono 40 anni che ci navigo, e mi sembra abbia funzionato. —