la Repubblica, 30 ottobre 2022
In morte di Vittorio Boiocchi, il capo ultra dell’Inter ammazzato con cinque pallottole
Mentre la curva Nord finisce di riempirsi per Inter- Sampdoria, il vecchio capo ultrà, di ritorno dallo stadio dove non può entrare, sta per oltrepassare il cancello di casa in via fratelli Zanzottera. San Siro è a meno di 5 chilometri da qui ma per Vittorio Boiocchi, 69 anni, è una distanza infinita. Non può vedere la partita, sepolto da daspo, sorveglianza speciale e un cumulo di precedenti. E non riesce nemmeno a raggiungere il cancelletto d’ingresso, incastonato tra due file di portici. Qualcuno lo avvicina, estrae una semiautomatica ed esplode almeno cinque colpi. Quelli che lo raggiungono al torace e al collo, 13 minuti prima delle 20, gli saranno fatali: Boiocchi muore mentre l’ambulanza sta correndo in sirena verso l’ospedale San Carlo. Il tam tam dei messaggi è immediato e raggiunge la vicina Curva Nord. Che toglie gli striscioni durante la partita e si svuota, in un’atmosfera surreale di stordimento collettivo. Una delegazione di una trentina di tifosi finirà la serata fuori dall’ospedale.
Tre anni dopo Fabrizio Piscitelli, il “Diabolik” che dettava legge nella Nord laziale e stava scalando la suburra del narcotraffico romano, muore ammazzato il capotifoso della gemellata tifoseria interista. Due storie parallele legate dal crimine, visto che le imprese di Boiocchi risalgono al 1974, alle rapine ai supermercati alle quali erano seguite quelle alle banche e, anche qui, i grossi traffici di cocaina ed eroina, dal Sudamerica alla Turchia, con un ruolo di livello all’interno di un cartello che comprendeva i fratelli Fidanzati, viceré di Cosa Nostra a Milano nel settore. Arrestato nel 1992, Boiocchi aveva preso oltre 26 anni e quando era uscito nel 2018. Dopo gli scontri che precedettero Inter-Napoli il giorno di Santo Stefano di quell’anno, quando morì investito l’ultrà varesino Dede Belardinelli, il vecchio capocurva era tornato a fare la voce grossa. Cori e scazzottate, tra cui lo scontro con un altro nome storico dei Boys San, quel Franchino Caravita che ebbe la peggio (era il settembre del 2019) davanti a tutto il direttivo. Solo che, quella sera, a Boiocchi venne un attacco di cuore e l’episodio venne ricomposto, a beneficio dei social, con la foto che li ritraeva sul letto in corsia col dito medio a favore di obiettivo. E dedicata ai giornalisti che malignavano. Nel frattempo, Boiocchi aveva riallacciato vecchi legami. Poi nel marzo 2020 l’arresto in compagnia del pregiudicato sardo Paolo Cambedda: erano su un Qashqai rubato, con taser, pistole e pettorine dei finanzieri: andavano a fare “recupero crediti”, in realtà un’estorsione per conto terzi da due milioni di euro ai danni di un imprenditore.
Ieri sera, subito dopo i cinque spari, qualche avventore del vicino bar Sahary esce in strada ma non vede già nessuno. La via è un budello stretto e corto tra due fila di case basse. Gli investigatori della Omicidi della Squadra Mobile, guidati dal dirigente Marco Calì, arrivano insieme al pm Paolo Storari a perlustrare la scena e a cercare testimoni e telecamere. L’unica traccia evidente è la grossa chiazza di sangue sul marciapiede. E i bossoli repertati dalla Scientifica.