la Repubblica, 30 ottobre 2022
L’ultima battaglia tra Lula e Bolsonaro a colpi di Viagra e prostata
Cinque punti percentuali di differenza: 49 a 44. Lula contro Bolsonaro. La forbice sulle intenzioni di voto si allarga, si restringe, quindi si assesta. Oggi in 156 milioni tornano alle urne per le elezioni più importanti, più sentite e più partecipate da quando in Brasile è tornata la democrazia, nel 1985. Si sceglie il nuovo presidente, colui che governerà i prossimi quattro anni. Continuità contro cambiamento. Destra estrema o svolta progressista. Autarchia ammantata da nazionalismo populista o ritorno nel consesso internazionale con un’economia liberista e solidale. Difesa delle armi o diritto allo studio. Sostegno dei militari o soccorso agli affamati. Nostalgia della dittatura o rilancio della democraziaallargata. Due mondi opposti, due visioni inconciliabili. La differenza si è vista nell’ultimo confronto in diretta suGlobo Tv.Feroci scambi d’accusa, attacchi che sfioravano gli insulti. Lula ha insistito sulla disastrosa gestione del Covid, sulla responsabilità «per almeno 300 mila morti». Bolsonaro è tornato sulla corruzione e la condanna inflitta al fondatore del Pt. Durante il dibattito i candidati si sono accusati a vicenda di essere favorevoli all’aborto: Lula ha letto un discorso del 1992 in cui il presidente, in qualità di deputato, difendeva al Congresso l’uso delle pillole contraccettive. Lula ha anche contestato al suo rivale l’acquisto di 35.000 compresse di Viagra per l’esercito. Bolsonaro si è difeso dicendo che «è usato per la cura della prostata».
I sondaggi non si scostano dal risultato del primo turno. Il candidato della sinistra – che ha ricevuto anche l’edorsement del Nyt,in particolar modo per le questioni ambientali e la difesa dell’Amazzonia – parteda un 48,43 per cento; il suo avversario, leader della destra estrema, lo tallona al 43,20. In queste quattro settimane entrambi hanno pescato tra gli indecisi: 2 per cento, sei milioni di voti che fanno la differenza. Il serbatoio da cui attingere per tagliare il traguardo. Luiz Inácio Lula da Silva, 76 anni, il primo e unico operaio diventato per due volte presidente, ha buone possibilità di ottenere il suo terzo mandato. Vent’anni dopo. Ha vinto nel Nordest e nel Centro, le sue roccaforti tradizionali. Ma anche altrove dove ha sempre faticato a imporsi. Per emergere ha dovuto guardare al centro, si è alleato con il suo storico avversario, il leader socialdemocratico Geraldo Alckmin, che ha indicato come vicepresidente. Si è avvicinato al mondo cattolico ed evangelico che gli è ostile. Ha ottenuto l’appoggio di Simone Tebet, espressione dell’agrobusiness; di Ciro Gomes, capo dei laburisti. Ha incassato il sostegno dell’ex governatore della Banca Centrale Henrique Mirelles, ha raccolto gli appelli di intellettuali, docenti, giuristi, attori, cantanti. Ha sentito soprattutto l’abbraccio di Fernando Henrique Cardoso, il leader del Partito socialdemocratico brasiliano, l’unico presidente ad essere stato eletto al primo turno.
Jair Messias Bolsonaro, 67 anni, ex capitano ribelle dell’esercito, l’anonimo deputato trasformato in eroe, ha avvertito il colpo. Ha vinto in Nordovest, Centro e Sud. In questi 28 giorni ha fatto leva su quelli che lo hanno sempre votato. Gli evangelici, i militari, la polizia, la fetta di popolazione benestante e ricca. Eppure sa di avere contro l’intero establishment. Persino il mondo imprenditoriale e finanziario oggi simostra più freddo.