il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2022
Primarie 12 marzo. Cronache dell’assemblea del Pd
Un punto fermo è che le primarie per scegliere il nuovo segretario del Pd saranno il 12 marzo. Troppo presto o troppo tardi? Non è che uno dei tanti nodi attorno a cui s’è accapigliata la direzione dem di ieri, alla fine riunita intorno alla mediazione proposta da Enrico Letta pur con astenuti e contrari.
Diversi chiedevano tempi più rapidi. Matteo Orfini, Alessia Morani, fino a due aspiranti segretari come Paola De Micheli e Stefano Bonaccini: “Per la prima volta – ha detto il presidente emiliano – temo che il Pd non abbia un futuro scontato. Evitiamo l’abbaglio che la rigenerazione del partito la faccia un congresso con tempi infiniti”. Ma c’è anche chi, come Peppe Provenzano, auspicava “tempi adeguati”, ovvero qualche settimana in più.
Letta promette che sarà “arbitro” di un congresso di cui la direzione ha definito le tappe essenziali: entro il 16 dicembre un’Assemblea costituente, poi, entro il 22 gennaio, un Manifesto dei valori e infine, entro il 26 febbraio, la presentazione delle candidature e la discussione delle “piattaforme politico-programmatiche” (Brando Benifei e alcuni “giovani democratici” si sono portati avanti, fondando “Coraggio Pd”). Tutto ciò sarà aperto anche a soggetti esterni (Articolo 1 e non solo), purché si iscrivano alla “piattaforma congressuale”.
Problema: marzo è lontano e il Pd nel frattempo ha le sue belle grane da gestire. Nel suo intervento, Letta se l’è presa con “le opposizioni che fanno opposizione all’opposizione e non alla destra” e che “hanno già messo le tende nella maggioranza”, chiaro riferimento a Azione-Italia Viva. Letta ne parla alla vigilia della partita per le presidenze delle Commissioni. Nel M5S hanno notato l’attivismo di Matteo Renzi nei confronti di FI e di parte del Pd; vorrebbero rinsaldare il canale coi dem su Vigilanza Rai e Copasir (anche se su Lorenzo Guerini e soprattutto Enrico Borghi storcono il naso) ma temono imboscate. Il rapporto tra Pd e 5S è in una fase delicata e Letta lo sa bene (“il congresso non può diventare un referendum tra Conte e Calenda”). I sondaggi registrano il sorpasso del M5S sul Pd dopo tre anni (anche se Conte giura di “non aver brindato”) e nel Movimento in molti credono che fissare così in là le primarie dem aprirà praterie a Conte e soci. Ma il Pd e l’avvocato dovranno presto discutere del Lazio, dove le dimissioni di Nicola Zingaretti (eletto alla Camera) porteranno al voto anticipato. Ospite ad Accordi&disaccordi sul Nove, Conte ha ammesso che servirà “una riflessione interna”, ma “non è possibile far finta che non sia accaduto nulla nel rapporto col Pd”. Ergo: si vedrà che margini ci sono.
In direzione, Letta ha assicurato che non saranno calati nomi dall’alto: “Dobbiamo essere rispettosi del lavoro territoriale, non possiamo imporre da Roma, con negoziazioni fra i i leader d’opposizione, scelte che dovranno planare sui territori”. Ma i territori devono schierarsi. Ieri per esempio, mentre Conte smentiva a Tpi i nomi di Ignazio Marino e Stefano Fassina, la 5S laziale Roberta Lombardi ha incalzato i colleghi di giunta dem: “Il Pd è a favore o contro l’inceneritore a Roma?”.
Ma che Letta sia in affanno lo raccontano pure i dettagli. Ieri il leader dem se l’è presa con Meloni: “Non ha mai pronunciato la parola pace”. Stesse sillabe dell’intervento di Conte alla Camera giovedì scorso. È un bel paradosso, tenendo conto che il Pd ha fissato la direzione nelle stesse ore in cui parte del partito manifestava a Napoli proprio per la pace, e senza dimenticare la piena continuità tra le politiche draghiane (e quindi dem) e FdI sull’Ucraina.