Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  ottobre 29 Sabato calendario

La sindrome di Putin che ha colpito Xi Jinping


La «Sindrome di Putin» ha colpito anche la Cina. Alla fine del congresso del Partito Comunista, che si è tenuto la settimana scorsa, si è scoperto che, come l’amico di Mosca, Xi Jinping ha assemblato un vertice di yes-men (tra l’altro senza nemmeno una yes-woman). Operazione che gli dà un potere pressoché assoluto, per il momento inattaccabile. Ma che non prefigura stabilità: correggere gli errori politici del leader era quasi impossibile prima, figuriamoci ora che nessuno dei prescelti oserà fargli notare qualcosa che non gradirebbe.
I mercati finanziari, che la stabilità venerano, hanno punito anche questo irrigidimento nella governance di Pechino quando hanno venduto titoli cinesi a mani basse.
Xi è ora padrone del Partito e dello Stato (sarà rinominato presidente della Repubblica la prossima primavera) ma nel medio e lungo periodo le probabilità che il potere cinese commetta errori gravi (come ora la politica di Zero-Covid) e che ciò penalizzi economia e società sono elevate. Come insegna il caso di Vladimir Putin in Ucraina, gli abbagli possono spingere anche ad aggressioni fuori dai confini, quando si è mossi dal nazionalismo, dallo sciovinismo e dal desiderio imperiale. Xi dice di volere cancellare il «secolo di umiliazioni» imposto dalle potenze coloniali europee fino al 1949 e comincerà da Taiwan. Il mondo si sta rendendo conto che le dittature sono pericolose per tutti. A maggior ragione se riguardano una potenza economica e militare. Russia e Cina: gemelle nella dittatura sono gemelle pure nella minaccia all’ordine internazionale. Questa è la realtà, solo parzialmente nuova, con la quale devono confrontarsi le democrazie o, come si è iniziato a dire, l’Occidente globale, cioè anche Giappone, Corea del Sud, Australia, Taiwan e via dicendo oltre che Stati Uniti ed Europa. Sì, anche l’Europa. Anche la Germania.
Russia e Cina non sono la stessa cosa. La seconda è una potenza economica e la prima non lo è. Ma non solo per questo. Il regime putiniano ha ormai praticamente tutti i tratti del fascismo tradizionale: repressione dura del dissenso, controllo del sistema giudiziario, negazione della libertà di espressione, galere piene, culto della morte, esaltazione di un passato glorioso, desiderio di guerra e di conquista, crimini contro i popoli. Un fascismo vecchio. Solo ridicolmente camuffato tramite elezioni nelle quali vince sempre Putin. La Cina di Xi è ben più moderna. Elezioni per il leader nemmeno da pensare, repressione preventiva e post di ogni critica al Partito, censura attraverso l’intelligenza artificiale, riconoscimento facciale per il controllo degli individui, credito sociale per guidare la vita dei cinesi, opacità assoluta del potere, Stato di diritto inesistente, dirigismo economico del Partito in possente crescita. Due regimi diversi ma uniti dal dispotismo e dall’intenzione di scardinare le democrazie – che essi ritengono in declino definitivo – per portare il mondo verso il loro modello politico, fondato tra l’altro sui muscoli, sulla legge del più forte: chiedere agli ucraini e ai taiwanesi.
Proprio perché incapaci di correggere i propri errori, questi regimi nei tempi lunghi hanno debolezze intrinseche. Ma prima di crollare, minate anche dall’interno come fu per l’Unione Sovietica, possono passare decenni. E nel frattempo, se dovessero affermarsi, il mondo che conosciamo ne sarebbe sconvolto. Nuovi muri, imposizioni politiche e commerciali con la forza, punizioni economiche e diplomatiche a chi non si allinea, riduzione delle libertà in molti Paesi, logoramento delle leggi internazionali. E pressione crescente, fino a trasformarli, sui modelli di vita occidentali, democratici, liberi. Per questo era ed è indispensabile fare perdere a Putin la guerra in Ucraina. E per questo è un rischio serio lasciare che la Cina conquisti quel ruolo di egemonia centrale nel mondo di cui parla Xi Jinping.
Le due autocrazie sono un enorme problema per i governi. Ma non solo. Centinaia di imprese europee, americane, asiatiche hanno dovuto abbandonare i loro business con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Molte multinazionali – in testa Apple, Microsoft, Amazon – stanno già rivedendo al ribasso i loro piani di produzione in Cina per la situazione sempre più difficile che la centralizzazione del potere imposta da Xi ha creato. Le Camere di Commercio americana ed europea in Cina hanno segnalato intenzioni simili nei sondaggi tra il loro soci. E, dopo il Congresso del Pcc, l’agitazione sta crescendo tra top manager e imprenditori. La domanda, nelle imprese, è: cosa facciamo se scoppia una Ucraina.2, se Pechino invade Taiwan? I gemelli del totalitarismo stanno dando colpi di maglio a quella globalizzazione che negli scorsi trent’anni li ha fatti prosperare.
Le democrazie a libero mercato non possono spazzare sotto al tappeto questa realtà. Invece, c’è voglia di farlo. A inizio novembre, il cancelliere tedesco Olaf Scholz andrà in visita di Stato a Pechino e incontrerà Xi. Ovviamente per fare affari e, inutile dirlo, accompagnato da una delegazione di imprese. Sulle orme dei 12 viaggi di Angela Merkel e tra lo scetticismo di alcuni Paesi europei e di Washington. Dopo non avere creduto ai rischi posti dal Cremlino, Berlino sembra non voler vedere che una «Sindrome di Putin» ha attecchito in Cina.