Corriere della Sera, 29 ottobre 2022
Biografia di Jerry Lee Lewis
Chissà se l’altro giorno si erano preparati ad accoglierlo all’inferno o in paradiso. Qualunque fosse la destinazione, gli han dato altre 48 ore prima di portarselo via per sempre: già, Jerry Lee Lewis, uno dei padri fondatori del rock and roll, è morto per davvero, a 87 anni, nella sua casa di Memphis, Tennessee. Dopo che mercoledì notte il celebre sito di gossip Usa, Tmz , l’aveva dato per scomparso, salvo poi rimangiarsi la notizia pochi minuti dopo. Ma scatenando subito enorme commozione in tutto il mondo, esattamente come ieri, perché se il rock è diventato, nonostante tutti i suoi de profundis, il linguaggio globale del pianeta, lo deve a gente come lui, come Elvis, come Little Richard, come Chuck Berry, oramai tutti in paradiso. O, appunto, forse all’inferno.
Perché mai, come nel caso di Jerry Lee, il dubbio della destinazione finale è sommo: già, la vita di questo geniale pianista, nato poverissimo, figlio di contadini, a Ferryday, Louisiana, ha sempre corso lungo il sottile crinale che separa la redenzione mistica dal peccato assoluto.
Figlio di cristiani militanti, iscritto alla Southwestern Assemblies of God University, proprio in chiesa, da bambino,avrebbe iniziato a suonare il pianoforte che sarebbe diventata una sorta di appendice della sua esistenza, minotauro musicale, con dei tasti e bianchi neri al posto delle gambe.
La via del successo sarebbe dovuta passare per Memphis, la culla del nascente rock’n’roll e per i leggendari studi della Sun Records, l’Elicona del genere, visto che anche un camionista di Tupelo, un certo Elvis Presley, avrebbe preso il via proprio da quei dintorni. Ma se il Re, come gli altri, avrebbe prediletto la chitarra come compagna di strada, Jerry Lee, presto diventato il suo antagonista, per stampa e deliranti fan, avrebbe imbracciato appunto il più avventuroso piano.
Diventando però, come Elvis, un rivoluzionario: Jerry Lee, presto soprannominato il Killer, è un bianco che suona la musica dei neri in mezzo ai neri, con canzoni che parlano di movimenti erotici nei fienili e di baci e vampate di fuoco, mentre ingaggia una sorta di amplesso con il suo strumento d’elezione che, alla fine, dà alle fiamme. Mettendo così a soqquadro la morale dell’America beghina e perbenista degli anni 50.
Gli inizi
Figlio di cristiani militanti, iniziò
proprio in chiesa
a suonare il piano
Sì, sono Great Balls of Fire e Whole Lotta Shakin ’ Goin’ On, l’ambo vincente di Jerry Lee con cui avrebbe sbancato il pianeta. Ma da cui sarebbe iniziata subito la discesa agli inferi. Perché quell’America bianca e beghina, se tollera con disgusto che i suoi figli ballino questa musica da neri, gliela fa subito pagare quando si scopre che ha sposato una cugina 13enne, mentre ancora non ha divorziato dalla seconda moglie.
Ecco l’inferno di Jerry Lee. Lo star system lo ripudia, lui cerca di virare, nel decennio successivo, verso i più rassicuranti country e gospel, ridicendosi cristiano convinto. Mentre, in realtà, gli succede di tutto; perde due figli, una moglie, la quarta, muore annegata ( e alla fine le consorti saranno sette), si distrugge tra droghe e alcol, quasi uccise il suo bassista per sbaglio, ha incidenti stradali in serie.
E dagli anni 70 diventa in pratica un museo vivente, esibendosi spesso dal vivo, più volte anche da noi in Italia, e ammettendo di essere «stato all’inferno e ritornato più volte». Sarà un film non eccelso, ma molto visto, del 1989, Great Balls of Fire! – Vampate di fuoco, con Dennis Quaid e Wynona Rider a restituirlo alle nuove generazioni. Per diventare, scomparsi uno a uno gli altri dei dell’Olimpo del rock, il decano assoluto del genere. E dove ora sia finito, il buon Jerry, dunque non sappiamo. Ma, senza di lui, il rock and roll non sarebbe diventato quel che è diventato.