Avvenire, 28 ottobre 2022
Il Gassman sportivo
Fisico apollineo, occhio rapace, piè veloce, spirito atletico, possente e grintoso, tutto questo sotto canestro, dove si stava allenando all’arte a alla vita, quello che per il critico cinematografico Tullio Kezich sarebbe diventato l’attore «Vittorio Gassman, bello, eclettico e vanitoso». E quello era anche il ritratto del talento azzurro del basket anni ’40. Prima di diventare il “Mattatore” del cinema e del teatro italiano, il ragazzo dal cognome tedesco (figlio dell’ingegnere di Karlsrue, Heinrich Gassmann, successivamente Vittorio eliminò all’anagrafe la “n” finale, ripresa invece da suo figlio Alessandro), si distinse come cestista. Una passione sbocciata negli anni del Liceo Tasso dove per la goliardia romanesca il giovane Vittorio era noto come il “Gallinaccio”. Collo lungo quanto quelle leve infinite su un corpo di 189 centimetri, un vatusso per l’epoca dell’Italietta malnutrita e dei sovrani nani, Gassman, l’anti-sciaboletta. Quella passione per la palla a spicchi se la portò dietro anche durante gli anni di studi matti, – ma mai disperati, iscritto alla facoltà di Giurisprudenza – ed attoriali: allievo dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico i cui corsisti crearono una squadra di basket. Ma le sue doti di pivot, le sfoggiava come tesserato della Parioli Roma. La squadra intitolata al terzogenito del Duce (morto 23enne in un incidente aereo), meglio nota come la “Bruno Mussolini” di Roma. Nel 1942, un anno dopo la sciagura aerea di Mussolini jr, la Parioli, che aveva la sua casa nella palestra all’aperto di via Antonelli – campo in terra battuta –, lottò per lo scudetto fino al fischio della sirena che, al suono finale, vide trionfare per la prima volta la Rejer Venezia. La squadra lagunare possedeva uno dei primi impianti al coperto, il festaiolo e luccicante salone della Misericordia, dove nello scontro diretto per il tricolore la stella più attesa degli avversari romani era proprio lui, il “lungo” romano Gassman. L’azzurro universitario (aveva brillato in Italia-Ungheria 3417) entrato nella Nazionale maggiore e secondo la testimonianza del suo compagno di squadra Fulvio Ragnini, «superiore a tutti per passione e volontà». Ma il diretto interessato umilmente si scherniva: «Non è vero, possedevo solo un tiro molto preciso, ma non ero affatto tecnico. In compenso, come buona parte dei timidi di natura, avevo una forte aggressività, tant’è che il mio rimpianto è di non aver praticato uno sport che fosse quasi soltanto puro agonismo». Match altamente agonistico quel giorno di ottant’anni fa a Venezia con la Parioli che si arrese alla Rejer, 33-28. E il talentuoso Gassman con appena 3 punti realizzati passò praticamente inosservato agli occhi della tifoseria della Serenissima,mentre la “Gazzetta dello Sport” con piglio da critica teatrale stroncava il futuro “Mattatore” annotando: «Vittorio Gassman delude, accecato ormai dalle luci della ribalta». La difesa postuma dell’attore e regista fu «mi ero allenato poco». Gassman era entrato in campo uscendo direttamente dal camerino de La Nemica di Dario Niccodemi, in cui aveva esordito al fianco della diva Lyda Borelli. Così, il fischio della sirena della Misericordia coincise anche con quella degli allarmi aerei e della guerra che chiuse di fatto la sua carriera sportiva. A Venezia per lui si spensero le luci dei palazzetti del basket per accendersi quelle dei teatri, e con il ritorno della pace anche quelle del cinema. Il 23enne Gassman appare per la prima volta sul grande schermo al fianco di Ernesto Calindri in Incontro con Laura. Ma la pallacanestro rimase un fantastico ed eterno amarcord, una medaglia al petto dell’attore e regista che quando andava in turnèe a Trieste non mancava mai di ricordare le sue sfide con la Ginnastica Triestina, la palestra in cui fece il suo esordio in Nazionale contro la Germania. Il basket è stata la sua palestra di vita e quei movimenti veloci – come il pionieristico passaggio bimane – scattanti gli sono tornati utili anche in scena. «La precisione della mano gli permetteva sempre di lanciare una scarpa dalla platea e centrare il malcapitato attore oggetto dei suoi strali», ricordava uno dei suoi biografi, Roberto Bosio. Per il Mattatore televisivo, il cestista era una figura mitica, il Giove che gioca a pallacanestro tra le nuvole. «Mandate un bel cablogramma a quegli sbruffoni degli Harlem Globetrotter: che quando vogliono la paga, Giove è pronto!», proclama Giove-Gassman nello sketch Rai del ’59 scritto da due maestri del giornalismo sportivo, Antonio Ghirelli e Maurizio Barendson. I dioscuri della “scuola napoletana” osteggiata da quella “milanese” facente capo a Gianni Brera. E il Gassman presidente della società calcistica Continental (il dentone dalla erre moscia) è un personaggio architettato dalla mente di Ghirelli come sfottò al “nemico” Brera. Al cantore di Bartali e Coppi, il Mattatore mandava a dire che «il ciclismo è uno sport antiestetico, ingrossa le cosce... meglio il biliardo». Da uomo olimpico Gassman amava anche il calcio e la sua fede romanista è manifestata anche nell’episodio Che vitaccia! – di Dino Risi – de I Mostri: il tifoso sfegatato indeciso se restare al capezzale del figlio o cedere alla tentazione di recarsi
all’Olimpico per seguire la squadra del cuore. Ne I soliti ignoti di Mario Monicelli, l’alibi della trasferta a San Siro lo porta in commissariato davanti all’appuntato che denuncia: «Con questo sono addirittura dodici i pregiudicati che stavano alla partita», e Gassman ribatte: «Solo 12 su quasi 1000 tifosi romanisti è una percentuale irrisoria. Fra i laziali è molto maggiore». Battuta pronunciata da Giuseppe Baiocchi, in arte “Peppe er Pantera”, pugile balbuziente che sbruffoneggia prima di un match: «Senti, leggiti i giornali domattina, a me, me trovate nella pagina sportiva, all’avversario mio negli annunzi mortuari?». “Er Pantera” monicelliano rimane in piedi appena 10 secondi e poi va al tappeto. E non va meglio a Gassman quando Dino Risi nell’episodio “La nobile arte” de I mostri gli cuce addosso il ruolo tragicomico di Artemio Altinori, ex pugile suonato per i troppi colpi ricevuti che della boxe non vuole più saperne, ma il manager cialtronesco Enea Guarnacci, il fraterno e coscritto Ugo Tognazzi (classe 1922 anche lui), lo stana e riesce a convincerlo a combattere ancora. Una sfida impossibile contro il roccioso Bordignon, organizzata da un Guarnacci completamente al verde solo per racimolare i soldi per sopravvivere e che al povero Artemio costerà l’infermità permanente. L’episodio si chiude con il pugile in carrozzina spinto da Guarnacci mentre inseguono un aquilone. Una scena struggente, intrisa di quella malinconia che accomunava Gassman e Tognazzi, complici sul set come su un campo di tennis. Vittorio avrebbe voluto imparare quello sport prima dei 40 anni quando, racchetta in mano, iniziò a giocarsela anche con gente più forte, ma non dotata di quella resistenza e quella voglia di primeggiare del Mattatore. Così non mancò di partecipare al Torneo estivo organizzato, fin dal 1966, dall’amico Ugo a Torvajanica: una parodia della Coppa Davis con il vincitore premiato con lo “Scolapasta d’oro” al posto della mitica Insalatiera d’argento. Un appuntamento sportivo quello, al quale Gasssman si presentava fierocon una preparazione atletica invidiabile, evitando accuratamente gli eccessi e il “doping” di Tognazzi, basato su cene in stile Grande Bouffe e spaghettate di mezzanotte nella vicina Velletri, da Benito al Bosco. Gassman a differenza di Tognazzi era professionale anche nel gioco e quella voglia di emergere, lo spacconismo esibizionista di Bruno Cortona de Il sorpasso, altro non era che una continua lotta contro la sua timidezza. «Vittorio strafaceva per nascondersi», ha detto Mario Monicelli che conosceva bene quel fuoriclasse che tra una sfida e l’altra si era convinto che «il futuro è già passato, e non ce ne siamo nemmeno accorti».