Avvenire, 28 ottobre 2022
La spesa pensionistica è lievitata a 313 miliardi
La spesa per le pensioni continua a crescere e gli spazi per una revisione delle regole, per scongiurare l’applicazione della Fornero senza “sconti” vale a dire l’età pensionabile a 67 anni, appaiono assai ristretti per il governo Meloni. Ieri l’Inps ha diffuso i dati sul 2021 dell’Osservatorio sulle “Prestazioni pensionistiche e beneficiari del sistema pensionistico italiano”: in Italia ci sono quasi 16,1 milioni di pensionati, il 3,6% in più rispetto all’anno precedente, per i quali si spende circa 313 miliardi (+1,7% rispetto al 2020). Non mancano le contraddizioni: il 52% dei titolari è composto da donne, ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi. L’importo medio degli assegni delle pensionate è del 27% più basso di quello dei titolari maschi (in media 16.500 euro contro 22.600). Il 47% delle pensioni è concentrato al Nord, ma al Sud ci sono più baby-pensionati. Nel 2021 l’Inps ha erogato 22, 8 milioni di prestazioni, i pensionati infatti risultano in media in possesso di 1,4 assegni a testa, anche di diverso tipo: il 68% percepisce una sola prestazione, mentre il 32% ne percepisce due o più. Dal monitoraggio emerge che il 78% delle pensioni è di tipo “IVS” (invalidità, vecchiaia, superstiti), mentre i trattamenti assistenziali (invalidità civili, assegni e pensioni sociali, pensioni di guerra) rappresentano il 19% del totale. La restante fetta del 3% è costituita dalle prestazioni di tipo indennitario, costituite dalle rendite Inail. Il gruppo più numeroso di pensionati è quello dei titolari
di pensioni di vecchiaia che sono 11,3 milioni, i pensionati di invalidità previdenziale sono circa un milione, i beneficiari di prestazioni assistenziali sono circa 3,7 milioni. Dall’analisi della distribuzione territoriale emerge che nel Nord si concentra il 47,8% dei pensionati e il 50,8% della spesa (157,93 miliardi). Il reddito da pensione al Nord supera i 20.700 euro, al Sud si ferma ai 17mila ma qui si trova il numero maggiore (il 45,8%) di pensionati under 55 anni.
La premier Giorgia Meloni non ha nascosto la volontà dell’esecutivo di affrontare il nodo pensioni. Ma su come intervenire (e soprattutto con quali risorse) è ancora nebbia fitta. L’obiettivo a breve termine è evitare lo scalone al primo gennaio 2023. L’ipotesi più concreta, su cui spinge la Lega, è l’introduzione di una “quota 41” (anni di contribuzione) a partire dai 61-62 anni. Saranno di sicuro prorogate Opzione donna (riservata alle over 58) e l’Ape sociale per gli over 63 mentre quota 102 (38 anni di contributi e 64 di età) introdotta l’anno scorso da Draghi non sarà rinnovata.