la Repubblica, 28 ottobre 2022
Regionali Lazio, il M5s corre da solo
Non è mai esistito davvero, se non nei vagheggiamenti elettorali degli ultimi due segretari del Pd e in qualche competizione a livello locale. Tuttavia, per assistere all’archiviazione definitiva di un sogno chiamato “campo largo” bisognerà attendere il voto nel Lazio, la prima delle regioni chiamata l’anno prossimo a rinnovarsi per l’uscita (un poco) anticipata di Nicola Zingaretti, fresco di trasloco a Montecitorio. Le urne dovrebbero aprirsi a inizio febbraio, ossia entro 90 giorni dalle dimissioni formali che verranno rassegnate tra il 4 e il 5 novembre.
Una scadenza cruciale, in grado di indicare la rotta: se difatti le forze progressiste – Pd, M5S, Azione e Si-Verdi – non riusciranno come sembra a trovare un’intesa laddove fanno già maggioranza assieme, sarà poi pressoché impossibile raggiungerla in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia.
È quel che Zingaretti ribadirà la prossima settimana, nel brindisi d’addio agli uffici abitati per due mandati, unico fra i suoi predecessori ad aver centrato il bis: «Non sta a me entrare nella discussione sul futuro candidato alla presidenza – il messaggio del governatore uscente – però rivolgo un appello a tutti: non buttiamo a mare i dieci anni di lavoro comune che abbiamo alle spalle. Prevalgano lo spirito di confronto, l’unità e il dialogo». Pur sapendo che (quasi) nessuno dei leader invocati ha voglia di ricostruire il campo largo: un brand invecchiato prima ancora di nascere.
È Giuseppe Conte il più determinato a opporsi: il 25 settembre ha capito che il M5S può crescere specialmente a scapito del Pd, fiaccato da fortissime convulsioni precongressuali che il deludente risultato elettorale ha finito per amplificare. E intende approfittarne. Perciò sta respingendo le avances di Francesco Boccia (incaricato di condurre le trattative per il Nazareno), deciso a replicare lo schema delle Politiche: correre da solo per far perdere gli ex alleati, aggravarne lo stato di prostrazione e conquistare – magari alle Europee del 2024 – lo scettro di primo partito del centrosinistra. Sorpasso per la verità già adesso intravisto da alcuni sondaggisti.
Una campagna aggressiva e non priva di ferocia ai danni di Enrico Letta, cui l’avvocato pugliese non perdona l’accusa di aver fatto cadere Draghi e la conseguente rottura del patto giallorosso. Prova ne sono i nomi dei papabili che i Cinquestelle stanno meditando di lanciare alla guida del Lazio: Ignazio Marino, l’ex sindaco di Roma “accoltellato” daisuoi stessi consiglieri nel 2015; oppure Stefano Fassina, fuoriuscito dal Pd in era renziana, approdato alla corte di Fratoianni e ora convertito alla causa grillina. «Una provocazione, è come se noi proponessimo di candidare Di Maio», masticano amaro in casa dem. Unica alternativa domestica, se le altre due dovessero rivelarsi impraticabili: il capogruppo 5S alla Camera Francesco Silvestri.
Uno strappo studiato a tavolino da Conte (anche) per liberarsi della vecchia guardia – le assessore Roberta Lombardi e Valentina Corrado, che tifano per l’alleanza col Pd in quanto, non più candidabili per il limite dei due mandati, aspirerebbero a tornare in giunta in caso di vittoria —, far posto ai fedelissimi e completare il disegno egemonico sia sul Movimento, sia sul fronte progressista. Sebbene non vadano affatto sottovalutate le mosse di Goffredo Bettini, il cui ultimo saggio (A sinistra, da capo pubblicato da Paper First, la casa editrice del Fatto quotidiano )verrà presentato l’11 novembre proprio da Conte insieme ad Andrea Orlando: l’idea dell’ex braccio destro di Veltroni è creare una convergenza con il M5S su Enrico Gasbarra, già vicesindaco di Roma, deputato ed europarlamentare, ora tornato al suo vecchio mestiere.
Come non bastasse, ad aggravare il quadro ci sono pure le tensioni interne al Pd locale. Diviso fra chi (Areadem, la corrente di Franceschini) vorrebbe candidare il vicepresidente uscente Daniele Leodori, artefice dell’ingresso in giunta dei grillini, e chi l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, che gode invece di appoggi trasversali, due giorni fa ha incontrato Stefano Bonaccini (il più accreditato alla successione di Letta) e da tempo ha ricevuto l’ endorsement di Carlo Calenda. Il quale potrebbe partecipare alla convention al Teatro Brancaccio con cui D’Amato il 10 novembre ufficializzerà la sua corsa, pronto a sostenerlo in qualsiasi caso: sia in tandem con il Nazareno (ma pare senza i 5S) sia con la sola Azione. Coltivando anche lui l’ambizione di spaccare i Dem e prosciugarne il consenso.