Corriere della Sera, 28 ottobre 2022
Biografia di Dante Isella
Uno dei primi nomi che, in qualità di direttore della Nuova Raccolta di Classici Italiani Annotati, Gianfranco Contini fa all’editore Giulio Einaudi è quello di Dante Isella, segnalato come possibile curatore del Teatro milanese del commediografo secentesco Carlo Maria Maggi. Siamo nel 1953. Isella è un trentenne, nato a Varese in una famiglia della borghesia imprenditoriale che si occupa di trasporti, si è laureato a Firenze nel 1947 discutendo con Attilio Momigliano e Bruno Migliorini una tesi, ispirata da Contini, sulla lingua e lo stile dello scapigliato Carlo Dossi. Nel settembre 1943 aveva attraversato il confine italo-svizzero per approdare, nel giro di qualche mese, a Friburgo. Lì, dove si era insediata una comunità di esuli francesi, spagnoli e italiani, l’incontro con un professore, giovane ma già molto autorevole filologo romanzo, gli avrebbe cambiato la vita. Era stato l’amico critico Giansiro Ferrata, anche lui provvisoriamente friburghese, a suggerire: «Andiamo a sentire Contini». Contini insegnava a Friburgo dal 1938, vantava una bibliografia notevole ma per Isella, che fino ad allora aveva lavorato nell’azienda paterna (i cavalli, presto sostituiti dai camion, ritornano spesso nei suoi ricordi), era solo un nome, nient’altro: «Non avevo mai letto nulla, non sapevo nulla. E mi ricordo che seguii quelle prime lezioni affascinato, addirittura come trasferito dal mondo della realtà lacerata in cui eravamo, in un mondo severo in cui avvertii che qualche risposta poteva venire incontro alla nostra attesa».
Quell’incontro fu una folgorazione, un’esperienza «esplosiva, fondamentale» che Isella raccontò in vari scritti autobiografici riuniti in un bel libro postumo, Un anno degno di essere vissuto (Adelphi), preparato dall’autore e uscito nel 2009, un paio d’anni dopo la sua morte. Ma tornando al laboratorio dei classici einaudiani, va detto che la «menzione speciale» che Contini dedicò all’allievo conosciuto a Friburgo era ampiamente giustificata dal fatto che Isella si era già distinto per l’edizione critica delle poesie di Carlo Porta consegnata in tre volumi alla Nuova Italia. D’altro canto, la fedeltà di Isella a Contini non sarebbe mai venuta meno. E anche quando, nel 1966, avrebbe aderito con Cesare Segre, d’Arco Silvio Avalle e Maria Corti, alla direzione di «Strumenti critici», la rivista nata nel segno del rinnovamento dei metodi in direzione semiotica e strutturalista, Isella non cessò di essere il più severo prosecutore dell’insegnamento di Contini, mentre gli altri andavano verso strade più eterodosse. Questa adesione si rivelerà ricca di risultati innovativi soprattutto sul versante della cosiddetta «filologia d’autore», cioè nello studio delle varianti, di cui Isella diventerà, per implacabili tappe progressive, il grande ineguagliato maestro. Ovvio che dallo studio delle varianti, associato alla immensa mole di conoscenze erudite, Isella aveva ottime carte per passare all’analisi dello stile, della lingua (con le varianti dialettali) e della cultura entro cui tutto si inquadra.
I tratti particolari dello studioso Isella sono molteplici: uno dei più notevoli si può riassumere in una doppia qualità che Clelia Martignoni pone a suggello di un libro polifonico in uscita per il centenario di Isella (nato l’11 novembre 1922). Si tratta di Dante Isella. Luoghi e autori di una vita, con fotografie di Carlo Meazza e testi di autori vari, a cura di Martignoni, Felice Milani e Niccolò Reverdini (Pubblinova Edizioni Negri di Varese, pp. 194, e 25). Il doppio tratto che rende Isella una personalità intellettuale unica riconduce all’etica del lavoro probabilmente ereditata dal padre e a uno spirito di severa apertura verso i discepoli ereditata invece dall’altro padre, e cioè da Contini: dunque, da una parte la dedizione totale agli autori amati e dall’altra la condivisione di questa fedeltà in cantieri ampi di studio e in équipe di ricerca in cui venivano chiamati a operare attivamente (e concretamente) i giovani allievi. Si dice cantieri ma si potrebbe dire vera e propria scuola. Commentando lo stato della cultura di questi anni, Isella diceva: «Rimango fedele al mondo in cui ho creduto e lo spaesamento sarebbe quasi totale se non avessi la fortuna di attivi rapporti con giovani amici studiosi che costituiscono la proiezione verso il futuro».
Nel raccontare l’esperienza dell’edizione critica, delle poesie di Vittorio Sereni, accompagnata da un commento ricchissimo, che nel 1995 confluì in un Meridiano, sempre Martignoni sottolinea come quell’idea di perpetui lavori in corso che Isella intravede nell’opera dell’amico e sodale potrebbe diventare il cartello distintivo della sua stessa attività di filologo. In effetti, Isella – lo fa notare Pier Vincenzo Mengaldo – trae da Contini la nozione dell’opera letteraria come opera sempre in fieri (da qui l’attenzione alle varianti): e non c’è dunque da meravigliarsi che anche lo studioso intenda il proprio laboratorio in termini mobili e dinamici.
In questa prospettiva si capisce perché Isella abbia esercitato con inesausto piacere e con risultati d’eccellenza il proprio mestiere critico-investigativo e stilistico su autori mai soddisfatti di sé e sempre alle prese con materiali stratificati ed elaborazioni magmatiche. Dunque, dopo Dossi, Porta e Maggi, si arriva alle trame ingarbugliate dell’«eterno lavoro» di Manzoni (dal Fermo alla seconda minuta all’edizione ’27 alla quarantana dopo il risciacquo in Arno). Una matassa che richiede trent’anni di paziente acribia prima solitaria, poi collettiva e poi ancora postuma grazie alla fedeltà delle allieve. Lo stesso accade con Il giorno di Parini, studiato nelle sue molteplici fasi di scrittura, e massimamente con quel mostruoso «gomitolo di concause» che è l’opera di Carlo Emilio Gadda, la cui tormentata ricerca viene ricostruita, con inediti e vere scoperte, nei cinque volumi (e sei tomi) della Spiga garzantiana usciti tra 1988 e 1993. Anche in questo caso il cantiere è aperto a una decina di allievi (quelli pavesi soprattutto, ma anche quelli del Politecnico di Zurigo nei quali pure, come dimostra questo libro di omaggi, ha lasciato tracce non cancellabili).
E ancora Beppe Fenoglio, è un altro pianeta su cui Isella è salito per districare intrecci nella cronologia delle opere e in particolare nella genesi del Partigiano Johnny con le sue diverse stesure. A questo proposito, se è vero che al centro dell’attenzione del Gran Lombardo Isella c’è la sua regione (con titoli di saggi come I lombardi in rivolta, L’idillio di Meulan e Lombardia stravagante) valorizzata anche nelle sue ampie dimensioni civili e morali oltre che nei rapporti letterari e culturali sotterranei, non si possono dimenticare i numerosi lavori «fuori sede»: oltre a Fenoglio, le incursioni in Dante, Tasso, Foscolo, De Sanctis, Carducci, d’Annunzio, Vittorini, e ovviamente al ligure (divenuto milanese) Montale (memorabile il commento delle Occasioni, ma anche il Dovuto a Montale consegnato al «Corriere» quando si trattò di demolire l’autenticità del Diario postumo).
Due soli versi bastarono a Sereni per fermare il volto dell’amico in occasione del primo incontro «al distributore» tra Mendrisio e Varese: «O azzurra fermezza di occhi di re / di Francia rimasti con gioia in Lombardia...». Uomo «naturalmente selettivo e all’apparenza distante e signorile» (Mengaldo), Dante Isella intravedeva in ogni «suo» autore un’avventura d’amore sempre tormentata per sua stessa natura: ogni viaggio dentro i testi si presentava come un’impresa in cui immergersi senza risparmio come se alla filologia andasse attribuita una missione di onestà e di rigore etico. Nelle bellissime fotografie in bianco e nero del libro che sta per uscire spiccano i suoi luoghi: a partire dal Lago di Varese, per proseguire con la casa di via Cavour a Varese, la villa di Casciago e il bosco del Poggio, il Sacro Monte, la vecchia Friburgo (persino la casa abitata da Contini), ovviamente Milano, Brera, la Mondadori, i navigli, e i cortili universitari di Pavia, la sede storica del Politecnico zurighese. Infine, il «liberty arioso» e l’impianto classico del Dosso Pisani, la villa che l’amato Carlo Dossi fece costruire a picco sul Lago di Como a partire dal 1897. Lì il giovane Isella arrivava in bicicletta da Varese per studiare i quaderni indecifrabili delle fitte Note azzurre. Niccolò Reverdini, giovane amico di Isella ed erede, per via familiare oltre che per autentica passione culturale della memoria di Dossi, parla di un «incontro aurorale, decisivo». Di una familiarità ideale tra lo scrittore scapigliato e lo studioso parlò lo stesso Isella, pensando a quegli «anni di comunicazioni e contatti misteriosi quanto vitali». Contatti misteriosi e vitali, ecco.