la Repubblica, 27 ottobre 2022
I dati sul turismo gay
Fanno almeno tre viaggi all’anno, spendono molto e le loro mete preferite sono Parigi, New York e Londra. In Italia preferiscono Roma e Milano, con Firenze al terzo posto ma molto staccata. È l’identikit del viaggiatore Lgbtq+. Tour operator e agenzie di viaggi, responsabili di grandi catene alberghiere, ma anche di hotel a conduzione familiare da tutto il mondo si sono incontrati a Milano per confrontarsi con il turismo arcobaleno; quello della comunità Lgbtq+, che – sono i dati di uno studio dell’Università Bocconi sul settore – ama viaggiare e lo fa senza badare troppo a spese.
Così ieri è cominciata la convention internazionale sul turismo Lgbtq+. È la prima volta che si tiene in Italia, la terza in Europa. E con 547 partecipanti da 39 Paesi, l’appuntamento milanese è il secondo più grande dopo quello del 2019 a New York. A farla da padroni, tra gli espositori di questa fiera per addetti ai lavori, sono gli operatori statunitensi, seguiti da quelli italiani (22%). «Questo dimostra l’interesse delle aziende italiane e forse dovrebbe smuovere i dubbi della politica», sferza Alessio Virgili, presidente dell’Aitgl (Associazione Italiana Turismo Gay e Lesbico). Ma non tutti hanno capito il mercato: alla convention ci sono solo due enti turistici regionali italiani, Toscana e Puglia.
Eppure il turismo Lgbtq+ – che in Italia vale 2,7 miliardi, in Europa 75 – è un mercato che fa gola a molti. I mille viaggiatori Lgbtq+ intervistati per lo studio Bocconispendono in media 2.200 dollari a testa e fanno 2,8 viaggi l’anno. «La nostra associazione è tra le poche in Europa che promuove questo segmento di mercato», spiega Virgili.
Tutti qui sanno che il turismo Lgbtq+ va di pari passo con il riconoscimento dei diritti. «Attraverso la leva economica dobbiamo spingere su quelli. Anche perché nella scelta delle destinazioni pesano politiche e senso di accoglienza, che passa dalla reputazione di un Paese». Proprio quella che qualche operatore vede a rischio oggi in Italia: «Speriamo il nuovo governo non torni indietro sui diritti e le scelte economiche. Tra i partner internazionali la percezione non è positiva».
Anche per un operatore turistico non basta però dichiararsi “gay-friendly”: servono formazione e comunicazione adeguata. Il rischio altrimenti è di attrarre una clientela Lgbtq+ senza avere personale preparato: bastano un sorriso o una frase fuori posto per deludere le aspettative. Oggi ci sono molte famiglie arcobaleno e non saperle accogliere, a partire dal controllo passaporti, crea imbarazzi che non lasciano un buon ricordo. Per questo l’Aitgl ha creato un protocollo per certificare ufficialmentela cultura dell’accoglienza di un’azienda.
La convention è anche un modo per presentare l’Italia come destinazione gay-friendly. «Questo tipo di turismo è molto interessato alla cultura, e gli operatori cercano proposte su misura, per esempio visite guidate con focus su storie Lgbt dell’antichità, di cui l’Italia è piena», spiega Giovanna Ceccherini di Quiiky Travel, che ai turisti nei Musei Vaticani racconta della passione tra l’imperatore Adriano e Antinoo, dei baci gay nascosti nel Giudizio Universale di Michelangelo e degli amori di Leonardo da Vinci.
Non si tratta quindi solo di saper accogliere ma di valorizzare la nostra tradizione – Lgbtq+ e non. «La difficoltà è anche questa», racconta Virgili. «Un giorno al Gay Village di Roma incontrai Gianni Alemanno, allora sindaco, e gli proposi di organizzare la Convention nella Capitale. Lui accettò entusiasta. Il suo assessore, mi accolse nell’ufficio sui Fori, aprì le finestre, e disse: “Guarda, non serve fare promozione, con tutto questo i turisti vengono dasoli”».