la Repubblica, 26 ottobre 2022
Giuseppe Bruscolotti nelle mani degli usurai
«Quando si entra in questo vortice è impossibile uscirne», allarga le braccia Giuseppe Bruscolotti quando viene sentito dai magistrati. L’ex calciatore, storico capitano del Napoli e compagno di squadra di Diego Armando Maradona, era una delle vittime del giro di usura gestito nel quartiere di Fuorigrotta per almeno quindici anni, a partire dal 2005, dalla famiglia Volpe il cui anziano capostipite, Antonio, storico esponente del clan camorristico Baratto, è stato assassinato in un agguato il 15 marzo 2021.
Nel “libro mastro” sequestrato dai carabinieri durante una perquisizione c’erano numeri degni di una grande azienda: tassi fra il 30 e il 40 per cento annuo ed entrate giornaliere fino a 72mila euro. Nella documentazione era annotato anche l’elenco delle persone sotto usura: 39, più un’altra ventina individuata attraverso le intercettazioni. Imprenditori, commercianti e Bruscolotti, che ha versato quasi 150mila euro dal 2011 al 2020.
Il suo calvario inizia nel 2011 quando una sua conoscente, titolare di un’agenzia di viaggi, ha bisogno di chiedere un prestito ad Antonio Volpe e l’ex calciatore, amatissimo dai tifosi, glielo presenta. Quando la donna non riesce più a onorare il debito, Volpe chiede a Bruscolotti di farsene carico. Pochi mesi dopo, anche l’ex atleta si ritrova in difficoltà perché il suo ristorante, “10 maggio 1987” (data del primo scudetto del Napoli) va in crisi. Chiede un prestito di 65mila euro e gli viene chiesto di restituirlo al ritmo di 2400 o 2600 euro al mese, poi diventati mille. Da allora, Bruscolotti paga con enormi sacrifici e viene anche redarguito quando, nel pieno dell’emergenza Covid, con la sua agenzia di scommesse chiusa, non riesce a versare la “rata”: «Abbiamo difficoltà di sopravvivenza — si giustifica parlando con uno dei figli di Volpe in un’intercettazione — qua sta tutto fermo, tra poco iniziano i suicidi». Ma dopo qualche mese, il clima diventa più pesante: «Almeno venite dalla Volpe (il soprannome di Antonio Volpe ndr )per lo meno venite a salutare », gli intimano. Il collaboratore di giustizia Gennaro Carra sostiene di aver saputo da Volpe che Bruscolotti «pagava il 20 per cento di interessi. Commentai che il tasso era benevolo, e Volpe mi rispose che lo aveva fatto perché si trattava del capitano del Napoli». In realtà, il calcolo degli inquirenti indica che, a fronte dei 65mila euro di capitale, Bruscolotti ha corrisposto un tassoannuale che supera il 40 per cento. «Purtroppo quando gli affari vanno male capitano situazioni del genere — dice a Repubblica l’ex calciatore — certo, con il senno del poi è facile dire che sarebbe stato meglio non farlo. Ma non lancio appelli, ognuno si assume le sue responsabilità come ho fatto io in tutta la mia vita. Anche in questa vicenda mi sono comportato così».
Le indagini condotte dagli investigatori dell’Arma e coordinate dai pm Francesco De Falco, Stefania Di Dona e Salvatore Prisco disegnano uno spaccato significativo degli affari e delle ramificazioni dei gruppi malavitosi della zona occidentale: non solo l’usura, ma anche droga, armi e l’ipotesi di corruzione di un sottufficiale dei carabinieri che, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gennaro Carra, si sarebbe prestato addirittura a far sparire la pistola utilizzata nella sparatoria nella quale, nel 2015, rimase gravemente ferito un poliziotto in servizio antiracket, Nicola Barbato, che con Repubblicacommenta: «Sono davvero indignato. Se fosse vero ciò che sostiene quel collaboratore di giustizia, vorrebbe dire che sono stato tradito da un collega».