La Stampa, 26 ottobre 2022
Colloquio con Matteo Piantedosi
Primo giorno da ministro dell’Interno. E prima clamorosa decisione di Matteo Piantedosi: le due navi umanitarie che stanno raccogliendo migranti nel mare tra Libia e Malta, la «Ocean Viking»battente bandiera tedesca e la «Humanity 1» con bandiera norvegese, lui le considera fuorilegge, «non in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale» e sta perciò valutando di emettere un «divieto» di ingresso nelle acque territoriali italiane. Sarebbero fuori dalle regole perché «le operazioni di soccorso sono state svolte in modo sistematico in area Sar di Libia e Malta, informate solo a operazioni avvenute».
Il governo tramite la Farnesina ha coinvolto le ambasciate di Germania e Norvegia perché ritiene quelle due navi umanitarie un problema loro. E il neo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, conferma: «Richiamiamo tutti al rispetto delle regole. Quello è territorio tedesco e norvegese».
Questo è dunque il buongiorno di Piantedosi. Spiega in un intervallo dei lavori alla Camera: «Non intendo abbandonarmi alla rassegnazione. Ho voluto battere un colpo per riaffermare un principio: la responsabilità degli Stati di bandiera di una nave. Ero vicecapo di gabinetto ai tempi di Maroni e fummo condannati dalla Corte di Strasburgo per illecito respingimento. Il famoso caso Hirsi. L’intera sentenza ruotava attorno al principio che se un migrante sale su una nave in acque internazionali, tutto il resto è responsabilità del Paese di bandiera. Questo principio vale solo per l’Italia e non per Germania e Norvegia?» .
Piuttosto che rimettere mano ai decreti Salvini, Piantedosi riparte quindi dalla Convenzione del mare e quel passaggio sulla libertà di movimento di una nave «fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero».
Si ricomincia con la guerra alle Ong, insomma. Che replicano così. «Come organizzazione di ricerca e soccorso seguiamo la legge internazionale del mare, salvando persone in difficoltà» (Humanity 1). «In meno di 3 ore abbiamo effettuato due salvataggi in acque internazionali al largo della Libia. Abbiamo soccorso 33 persone, tra cui 4 minori, da un barchino di legno stracarica» (Ocean Viking). Ci provò già il governo Conte I (e infatti Matteo Salvini ha subito applaudito la mossa di Piantedosi), ritenta il governo Meloni. Il neo ministro non si illude di vincerla alla prima mossa. «Peraltro gli sbarchi non dipendono solo dalle Ong.. .Però è anche vero, pur se negano, che queste navi umanitarie sono un fattore di attrazione per i migranti, il cosiddetto "pull factor". In Europa lo sanno tutti; se ne parlava apertamente quando andavo alle riunioni di Bruxelles da vicecapo della polizia».
Piantedosi sa che la partita sarà lunga e complessa, da giocare su più tavoli. La premier ha appena spiegato dove vuole arrivare: al fatidico blocco navale, anche se ora non lo chiama più così, da organizzare con l’intera Europa; e insieme gli hot-spot direttamente in Nord Africa.
Meloni ha citato la missione Sophia, che cominciò ad operare con il finanziamento e l’addestramento della Guardia costiera libica e doveva finire con le navi europee stabilmente nelle acque libiche. Non si è mai arrivati a questo stadio, che pure era stato codificato, perché non c’è un governo legittimo in Libia. «E infatti – prosegue il ragionamento di Piantedosi – già in settimana faremo un Comitato per la sicurezza con le agenzie di intelligence. Voglio capire la reale situazione in Libia e che cosa si può fare». Sottinteso: in Libia si è lasciato troppo correre. «E ora ci stanno turchi e russi».
Il punto – insiste – è «che noi non possiamo accettare il principio che uno Stato non controlli i flussi di chi entra. Io credo molto nei corridoi umanitarie di Sant’Egidio. Frenare le partenze significa anche limitare le morti in mare, che mi ripugnano e che vedo ormai quasi non fanno più notizia».
Da prefetto di Roma, negli ultimi due anni ha toccato con mano la spirale di disperazione che vivono i clandestini. «Fin tanto che quei poverini sono sulle navi, tutti si commuovono. Appena a terra, guardano tutti da un’altra parte. Ho visto a Roma gente che era sbarcata 2-3-4 anni fa, ha fatto richiesta di asilo, e adesso sta gettata in strada senza speranza. Chi parla di integrazione, di ruolo dei Comuni e dello Stato, non sa di che parla. Come? Chi? Con quali soldi?» . Conclusione: «Nella discussione si tende a contrapporre gli aspetti umanitari con il governo dei flussi e il rispetto delle regole: in realtà, le due cose si fondono».