Avvenire, 26 ottobre 2022
Italiane laureate e disoccupate. I numeri
Quando si dice che l’istruzione non paga. Le donne in Italia sono più istruite degli uomini ma spesso non riescono ad accedere ad un percorso lavorativo in linea con i loro studi. Il 65,3% ha un diploma (percentuale che scende al 60,1% tra gli uomini) e il 23,1% una laurea (il 16,8% tra gli uomini), con differenze di genere più marcate rispetto alla media dei paesi Ue. Si tratta di uno dei dati contenuti nel rapporto sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali relativi al 2021 pubblicato ieri dall’Istat.
Il vantaggio femminile nell’istruzione non ha però un riscontro sulla carriera, anzi. Il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (55,7% contro 75,8%). La buona notizia è che il divario di genere si riduce al crescere del livello di istruzione. Come dire: le donne sono costrette a studiare più degli uomini se vogliono avere una chance di collocarsi sul mercato del lavoro. Ampia la distanza tra il nostro Paese e la media Ue per la quota di 30-34enni laureati: il 26,% contro il 41,6%. Al Nord e al Centro la quota raggiunge il 30%, mentre nel Mezzogiorno si ferma al 20,7%. Ancora molto forte, spiega l’istituto di statistica, l’influenza dell’appartenenza familiare sull’abbandono scolastico e sul raggiungimento di un titolo terziario.
Nel nostro paese, nel 2021, il tasso di occupazione dei laureati 25-64enni è all’82,1%, 4,3 punti più basso della media europea. Il pezzo di carta insomma non è una garanzia. Il gap sale quando si parla di giovani sino ad arrivare a 17,4 punti per gli under 35 che hanno conseguito la laurea da uno a tre anni prima. In Italia solo il 67,5% di loro ha un’occupazione. La popolazione residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella del Centro-Nord: il 38,1%
ha il diploma di scuola secondaria superiore e solo il 16,4% ha discusso la tesi di laurea; nel Nord e nel Centro circa il 45% è diplomato e più di uno su cinque è laureato (21,1% e 23,7% rispettivamente). Il divario territoriale riguarda uomini e donne ma è più marcato per la componente femminile. Nel Mezzogiorno, tuttavia, i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono superiori, in particolare tra le donne. Il rapporto sfata anche alcuni luoghi comuni sui Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione. Uno su due è alla ricerca di lavoro da almeno un anno (il 51,6% nel 2020 era il 44,9%) ma aumenta la quota degli inattivi che non cercano un impiego e non sarebbero disponibili a lavorare (35,9%, +2,7 punti): si tratta in genere di ragazze con responsabilità familiari di cura e assistenza a bambini o adulti non autosufficienti. L’inattività è minima tra i Neet del Mezzogiorno, tra i quali ben il 71,0% (53,3% nel Nord e 64,1% nel Centro) si dichiara interessato al lavoro (disoccupati o forze di lavoro potenziali), a indicare come in quest’area del Paese incidano soprattutto le minori opportunità lavorative. A preoccupare è soprattutto l’abbandono scolastico. La quota di 18-24enni che si sono fermati al diploma di scuola secondaria inferiore e non sono più inseriti in un percorso di istruzione o formazione, indicati con l’acronimo Elet, è stimata al 12,7% (517mila giovani). Nonostante l’Italia abbia registrato notevoli progressi resta fanalino di coda nella Ue, terza dopo Spagna (13,3%) e Romania (15,3%). Abbandonano la scuola più i ragazzi (14,8%) delle ragazze (10,5%). I divari territoriali restano ampi: al Sud la percentuale sale al 16,6%. Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è oltre tre volte quello degli italiani e si attestata attorno al 32,5%.