il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2022
Il volo di De Bosis raccontato da lui stesso
Anticipiamo stralci della “Storia della mia morte” di Lauro De Bosis, di cui L’Orma licenzia domani in libreria “In volo su Roma. 400.000 lettere da un poeta antifascista”. L’intellettuale improvvisatosi aviatore (1901-1931) morì subito dopo aver scritto il suo testamento spirituale, di ritorno proprio dalla missione antifascista: un volo sulla Capitale il 3 ottobre 1931, quando lanciò sulla città migliaia di manifesti contro il duce e il regime.
Domani alle tre, su un prato della Costa Azzurra, ho un appuntamento con Pegaso. Pegaso – è il nome del mio aeroplano – ha la groppa rossa e le ali bianche: benché abbia la forza di ottanta cavalli, è svelto come una rondine. S’abbevera di benzina e si avventa nei cieli come il suo fratello di un tempo… Ma non andremo a caccia di chimere. Andremo a portare un messaggio di libertà a un popolo schiavo di là del mare. Fuor di metafora andiamo a Roma per diffondere in pieno cielo quelle parole di libertà che, da ormai sette anni, son proibite come delittuose; e con ragione, giacché se fossero permesse, scuoterebbero in poche ore la tirannia fascista. Tutti i regimi della terra, anche l’afgano e il turco, posson lasciare, chi più chi meno, una qualche libertà ai loro sudditi: solo il fascismo, per difendersi, è costretto a annientare il pensiero… Come potrebbe tenere soggetto un popolo libero se non lo terrorizzasse con la sua nera guarnigione di trecentomila sicari? Per il fascismo non v’è scelta. Se si accetta anche minimamente il suo punto di vista, si è obbligati a dichiarare col suo apostolo Mussolini: “La libertà è un cadavere putrefatto”… So bene che né gli austriaci nel 1850, né i Borboni, né gli altri tiranni d’Italia son mai arrivati a tanto: essi non han mai deportato gente senza processo; il totale delle loro condanne non s’è mai, neppur da lontano, avvicinato alla cifra di settemila anni di galera in quattro anni; soprattutto, essi non si sono mai sognati di arruolare di forza, nelle file del loro esercito di aguzzini, i figli stessi dei liberali, come fa il fascismo, strappandoli a tutte le famiglie fin dall’età di otto anni per imporre loro la divisa dei carnefici e assoggettarli a una barbara educazione guerresca: “Amate il fucile, adorate la mitragliatrice, e non dimenticate il pugnale” ha scritto Mussolini in un articolo destinato ai ragazzi.
Il fascismo non può esistere che grazie ai suoi eccessi. I suoi cosiddetti eccessi sono la sua logica. Si è detto che l’assassinio di Matteotti fu un errore ma dal punto di vista del fascismo, quel delitto fu un colpo di genio. Si dice che il fascismo fa male a ricorrere alla tortura per estorcere confessioni ai suoi prigionieri: ma se il fascismo vuol vivere non può fare altrimenti. I giornali esteri dovrebbero capirlo una buona volta. Non si può augurarsi che il fascismo diventi pacifico e umano senza volere la sua liquidazione piena e completa. Il fascismo questo l’ha capito e, da sette anni a questa parte, l’Italia è diventata una grande prigione, dove s’insegna ai bambini a adorare le loro catene…
Nel giugno 1930, io cominciai a far circolare lettere bimensili, di carattere strettamente costituzionale… Per cinque mesi, riuscii a compiere questo lavoro da solo, spedendo ogni quindici giorni seicento lettere con la preghiera che ogni persona che le riceveva ne facesse a sua volta sei copie. Sfortunatamente, in dicembre, la polizia arrestò i due amici che avevano accettato di imbucare le lettere in mia assenza. Essi furon sottoposti alla tortura e condannati a quindici anni di carcere… Dopo le proteste dei giornali esteri e di politici inglesi e americani, Mussolini è arrivato a offrire la libertà a tutt’e due, purché firmassero una lettera di sottomissione. Tutti e due han rifiutato.
Il giorno in cui lessi la notizia dell’arresto dei miei amici, decisi immediatamente di andare a Roma, non già per arrendermi, ma anzi per dare impulso all’attività dell’Alleanza lanciando dal cielo quattrocentomila lettere e poi, o morire combattendo oppure tornare alla base per prepararvi altri colpi. Il cielo di Roma non è mai stato violato da aeroplani nemici. Mi dissi che io sarei il primo, e mi misi subito a preparare l’impresa. La cosa non era facile. Anche la modesta impresa di guadagnarsi il pane è cosa ardua, per un poeta. Quando, per giunta, egli si trovi nelle condizioni del profugo, e per colmo di sfortuna in un anno di crisi economica, non c’è da stupirsi se egli scenda assai presto fino ai più bassi gradini della vita randagia. Per giunta, non sapevo guidare neppure la motocicletta: figurarsi l’aeroplano! Per cominciare, trovai un impiego come portiere all’Hôtel Victor-Emmanuel III a Parigi. Talvolta, con tre o quattro campanelli che squillavano all’unisono, mi si sentiva gridare nella tromba delle scale: “Irma, un sandwich al 35”. Come preparazione al mio volo su Roma non era un gran che; e tuttavia, tra il conto del fornaio e le ricevute dei clienti, scrivevo un messaggio al Re d’Italia e studiavo la carta del Mar Tirreno. Il seguito dei miei preparativi è la parte più interessante della storia, ma purtroppo deve rimaner segreto… La mia morte (benché seccante per me, che ho tante cose da portare a termine) non potrà che giovare al successo del volo… Dopo tutto, si tratta di dare un piccolo esempio di spirito civico. Io sono convinto che il fascismo non cadrà se prima non si troveranno una ventina di giovani che sacrifichino la loro vita per spronare l’animo degli italiani.