il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2022
Intervista ad Annie Ernaux
Annie Ernaux sa essere spietata. Lo fu, con un linguaggio affilato come un rasoio, anche quando ventidue anni fa scrisse L’evento, racconto autobiografico del suo aborto clandestino, in una Francia (era il 1963, lei era una studentessa) che l’interruzione volontaria di gravidanza la reprimeva duramente con un silenzio ottuso, con i ricatti e con l’ipocrisia.
Oggi, a 82 anni, fresca di premio Nobel per la Letteratura, la scrittrice francese continua la sua battaglia, mentre in Italia sta per uscire, sempre con L’Orma, il prossimo 8 novembre, l’ultimo suo romanzo breve, Il ragazzo, storia di una relazione con un uomo di trent’anni più giovane. “L’esercizio del potere femminile sul proprio corpo di donna è sempre stato osteggiato dagli uomini – dice –, e l’ossessione del controllo, che permane tuttora, continua a insinuarsi nelle menti e ad agire. Per questo la lotta per poter disporre del nostro corpo deve essere fatta quotidianamente. Per questo è necessario combattere sempre per i diritti delle donne”. Ernaux è ospite in questi giorni a Bologna di Archivio Aperto, il festival di Home Movies, dove ha presentato il suo primo lungometraggio, Les Années Super8, realizzato con spezzoni di vita familiare girati insieme al marito. Un film in cui scene domestiche – i figli, la madre, gli amici – si alternano alle immagini di viaggi, come quello nel Cile di Salvador Allende, prima del golpe, vissuto all’epoca come speranza di un nuovo socialismo.
L’abbiamo incontrata insieme al figlio David Ernaux-Briot, che insieme a lei (sua la voce in sottofondo) ha limato e ricucito il lungometraggio. Combattiva, pugnace, sempre fieramente femminista. Anzi: eco-femminista, come si definisce. “Perché ciò che è stato fatto al pianeta da decenni di liberismo selvaggio è stato fatto per secoli sul corpo delle donne”. E non ci gira troppo intorno quando si tratta di commentare le recenti dichiarazioni di Eugenia Roccella, neo ministra italiana della Famiglia, della natalità e delle pari opportunità. “Dire che l’aborto non è un diritto è qualcosa di molto pericoloso”, osserva Ernaux, secondo la quale invece la salvaguardia della libertà di scelta della donna rispetto alla gravidanza dovrebbe essere inserita nella Costituzione della Ue. “Lo dissi già nel 2016, quando vinsi il premio Strega europeo – ricorda –. Ogni Stato dell’Unione dovrebbe sancire il diritto all’aborto nella propria carta costituzionale. E così come combatto per questo, lotto per una Europa che non sia una fortezza, continuo a non demordere sull’apertura delle frontiere, che devono essere aperte a tutti coloro che ne hanno bisogno”.
Ex insegnante di Lettere moderne, Ernaux (che ha mantenuto il cognome del marito Philippe) non ha mai esitato a rivelarsi nei suoi libri. Anche impietosamente. Ha vivisezionato la vergogna che provava da bambina, da adolescente, per le sue umili origini, per la povertà della sua famiglia, prima operaia poi dedita al piccolo commercio, con un bar-drogheria in Normandia. “La vergogna – ammette – ha attraversato tutta la mia esistenza ma la scrittura mi ha aiutato a capirla e a superarla”. Per lei la cultura come ascensore sociale ha funzionato. Ma non è così per tutti, ammonisce: “E le discriminazioni sociali sono ancora molto forti”.
Tutta la sua opera – a partire dal primo libro, Il posto, pubblicato nel 1974, per arrivare a Gli anni, probabilmente il suo più famoso – appare come un tributo alla memoria, “che in questa fase storica è bistrattata e poco considerata”. E in fondo sembra essere un omaggio alla memoria, “al tempo, che è l’elemento fondamentale della vita”, anche il lungometraggio nel quale addensa l’idea “che le storie private diventano sempre storia collettiva”. Abituata a non fare mai sconti a se stessa – non lo ha fatto nemmeno in Memorie di ragazza, nel quale rammenta, come sempre tagliente, il suo apprendistato sessuale, il primo rapporto, che fu anche “il grande ricordo della vergogna” – dice che ancora non sa quali saranno gli effetti del Nobel che appena vinto. Nella sua vita ha collezionato premi. Dal François Mauriac al Prix de la langue française per arrivare al premio Marguerite Yourcenar. Eppure, sostiene, “scrivere non è un mestiere. Sono una docente in pensione, per ora desidero solo tornare a casa e terminare il mio ultimo libro”.