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 2022  ottobre 25 Martedì calendario

I lavoratori stranieri scappano dall’Italia

Ne arrivano sempre meno, e chi può va via: gli immigrati regolari in Italia sono 5,2 milioni e il loro contributo all’economia vale quasi 144 miliardi, il 9% del Pil, ma prima del Covid arrivava al 9,5%. E anche la loro incidenza tra gli occupati è scesa dal 10,3% del 2019 al 10%. Sembrano differenze lievi, ma per alcuni settori dell’economia italiana, dall’agricoltura all’edilizia al turismo, il contributo dei lavoratori immigrati è fondamentale, non solo per i contratti stagionali, e il calo della partecipazione al mercato del lavoro è stato un grave problema quest’anno, con la ripresa a pieno ritmo delle attività. Tanto che alcuni settori, come l’edilizia, non solo per ragioni umanitarie, ma anche per far fronte al forte fabbisogno di manodopera, si sono organizzati per riqualificare e inserire i rifugiati nei cantieri e in azienda.
A calcolare l’impatto del lavoro degli stranieri sull’economia italiana è la Fondazione Leone Moressa, nel Rapporto annuale che verrà pubblicato a novembre. La pandemia ha accelerato un fenomeno in corso già da diversi anni: «Le partenze degli immigrati dall’Italia sono cominciate nel 2011, dopo la crisi, e il fenomeno si è accentuato negli ultimi due anni, con la pandemia. Chi aveva un lavoro precario ed è rimasto disoccupato ha preferito tornare a casa, oppure spostarsi in Paesi più affini dal punto di vista linguistico, come la Francia per i nordafricani o il Regno Unito per gli asiatici — spiega il ricercatore della Fondazione Moressa Enrico Di Pasquale — Le imprese adesso avrebbero bisogno di molta più manodopera stagionale, ma i tempi del decreto flussi sono sbagliati, non coincidono con quelli dell’economia: quest’anno a giugno era ancora tutto fermo».
Il decreto flussi autorizzava l’arrivo di circa 70 mila lavoratori, ma ne sono arrivati meno, per problemi burocratici e gestionali. «Quello di quest’anno è stato un disastro burocratico — conferma Romano Magrini, responsabile lavoro di Coldiretti — Il settore agricolo avrebbe avuto bisogno almeno di 100mila lavoratori stranieri a partire da marzo, siamo riusciti a farne arrivare tra i 10 e i 15 mila. E quando sono arrivati, la stagione della raccolta della frutta era ampiamente partita: ci siamo dovuti arrangiare utilizzando parenti e affini entro il terzo grado, lavoratori di altri settori che venivano da noi il sabato e la domenica. Abbiamo veramente raschiato il fondo del barile». L’agricoltura, che secondo i dati della Fondazione Moressa ha la maggiore incidenza di lavoratori stranieri (il 18%), seguita da ristorazione (16,9%) ed edilizia (16,3%), non è il solo settore ad aver sofferto di forte carenza di manodopera. «Prima della pandemia, un quarto dei nostri 940 mila lavoratori dipendenti erano extracomunitari », dice Luciano Sbraga, direttore Ufficio studi Fipe-Confcommercio. «Ne abbiamo persi 243 mila, e ne abbiamo recuperati solo 50 mila finora. Il 40% dei lavoratori che cerchiamo sono difficili da reperire, e i numeri del decreto flussi sono una goccia nel mare».
Nella stessa condizione gli albergatori: «Una parte import ante dei nostri dipendenti è extracomunitaria, e abbiamo bisogno di sapere chi possiamo assumere al massimo a febbraio — dice Gianni Battaiola, presidente degli albergatori del Trentino — Molti di loro svolgono mansioni che i lavoratori italiani preferiscono non fare, come le pulizie nelle camere o il lavapiatti, tanti fanno i camerieri. Ne abbiamo bisogno sia per la stagione estiva che per quella invernale».
Ad aver bisogno di lavoratori extracomunitari anche i settori senza picchi di produzione, come la manifattura. «Nella nostra provincia le aziende fanno sempre più fatica atrovare manodopera, per via del calo demografico e dell’impatto del reddito di cittadinanza — dice Laura Dalla Vecchia, presidente di Confindustria Vicenza — E ultimamente se ne stanno andando anche gli immigrati residenti, lo vediamo dalle scuole elementari: bambini che frequentavano regolarmente sono andati via prima di arrivare alla quinta. I flussi migratori vanno tenuti sotto controllo, ma andrebbero parametrati alle esigenze delle imprese».
A fronte di questa forte carenza di manodopera, è possibile far lavorare i rifugiati? L’Ance, l’associazione dei costruttori, non se lo è chiesto due volte, e ha stipulato un accordo con il ministero del Lavoro per la riqualificazione e l’inserimento di tremila “migranti vulnerabili”. E, per accelerare i tempi del decreto flussi, ha firmato anche un accordo con le Misericordie, per selezionare i lavoratori già nei Paesi di origine, e farli arrivare in Italia con la garanzia di un contratto e di un alloggio.