Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  ottobre 25 Martedì calendario

Intervista a Giorgio Panariello

La smania del protagonismo gli spunta addirittura alle elementari. «Quando la maestra spiegava o interrogava qualche compagno – racconta Giorgio Panariello – riempivo i quaderni con la mia firma: era già la prova del mio gusto per l’autografo. E poi mi chiudevo in bagno e, con la spazzola dei capelli di mia nonna, facevo finta che fosse un microfono e mi intervistavo, farneticando su quello che facevo o volevo fare... Però, quando alla fine delle medie gli insegnanti mi indicavano la scuola che avrei dovuto fare, ho sbagliato».
Perché?
«Mi consigliavano uno studio relativo al contatto con il pubblico e ho capito male: mi iscrissi alla scuola alberghiera, pensando che fossi portato a fare il cameriere».
Da domani lei torna in scena al Teatro Verdi di Firenze con «La favola mia»...
«È il racconto della mia vita, personale e professionale. Una chiacchierata col pubblico, per svelare chi è il Giorgio dietro al Panariello. Per questo l’ho intitolato come la canzone di Renato Zero, al quale rendo un doveroso omaggio, dove c’è una frase che dice: dietro questa maschera c’è un uomo...».
È vero che Zero, all’inizio, non fu contento della sua imitazione?
«Proprio così. Una volta, quando ancora non ero molto noto, andò in farmacia a Roma. Una signora lo avvicina e gli chiede: scusi, ma lei è Renato Zero? Lui risponde sì, sono io. E la signora ribatte: mi saluti tanto Panariello!».
Ci rimase male?
«Beh, sì... Un’altra volta, anni dopo, lo imitai talmente bene in una finta intervista organizzata con Pieraccioni, che quando Renato la vide in tv, c’è cascato pure lui! Telefonò al fratello, chiedendogli: ma quando l’abbiamo fatta ‘st’intervista?».
Dalla scuola alberghiera al cantiere navale di Viareggio: la passione per le imitazioni dove nasce?
«Mi ero stufato di fare il cameriere e mio zio mi portò a fare l’elettricista nel suo cantiere: altro mestiere assolutamente sbagliato, per me. Nessuna nave sarebbe riuscita a partire grazie al mio intervento elettrico. Nel frattempo avevo cominciato a fare pratica nelle radio libere dove ho scoperto la mia passione e mi sono posto il dilemma: continuare a svolgere un mestiere che non sapevo fare oppure lanciarmi in un’avventura? Ho scelto di rischiare, d’altronde la vis comica non la impari a scuola di recitazione: o ce l’hai dentro o non ce l’hai e spesso i grandi comici nascono dai loro travagli interiori, da storie familiari difficili, a volte drammatiche...».
Le sue vicende drammatiche quali sono state? Chi è l’uomo dietro la maschera?
«Un’infanzia difficile, non infelice, l’ho raccontata in un libro, Io sono mio fratello. Sono stato abbandonato da mia madre, che era troppo giovane per crescere un figlio, e non ho mai saputo chi fosse mio padre. Sono stato allevato dai nonni materni. Un anno dopo la mia nascita, è nato mio fratello Franco, anche lui abbandonato... però i miei nonni avevano già da crescere, oltre a me, i loro cinque figli e lui venne affidato a un istituto di suore. Ogni tanto veniva a casa da noi, poi spariva e io, i primi anni, non sapevo che fosse mio fratello, lo credevo un amichetto con cui giocavo. Col passare degli anni, lui ebbe problemi con la droga e l’ho aiutato: lo portai a San Patrignano per farlo disintossicare. All’inizio tutto procedeva per il meglio, poi è scappato... in seguito è tornato ed era uscito dal suo faticoso percorso, totalmente “ripulito”. Ma una sera va a cena con degli amici, forse gli hanno offerto qualcosa... una pasticca, non so... ebbe un malore e quelli che erano con lui, invece di portarlo in ospedale, lo abbandonano sul lungomare di Viareggio: è morto per ipotermia».
Carlo Conti o Pieraccioni: con chi è più in sintonia?
«È proprio necessario parlare di quei due anziani? – ride – Abbiamo caratteri diversi, per questo siamo compatibili, i contrari si attraggono. Leonardo è pigro, vive nel suo eremo sulle colline fiorentine. Carlo è tutto casa e bottega: quando va a lavoro timbra il cartellino come gli statali».
Mai liti fra voi?
«Con Carlo impossibile litigare. Con Leonardo, una volta litigammo di brutto, sull’impostazione di uno spettacolo. Aveva ragione lui e ci siamo riavvicinati ancora di più».
È più difficile far ridere oggi rispetto a ieri?
«Certo! Prima, la comicità era ragionata, sia aveva il tempo per costruirla. Oggi è diventata un fast food».