Corriere della Sera, 25 ottobre 2022
Biografia di Giovanni Donzelli
E ora che «Giorgia» è a Palazzo Chigi chi custodirà le chiavi del primo partito italiano? La risposta che arriva dai vertici è scontata: sempre la presidente Meloni. A livello operativo, però, per la prima premier d’Italia sarà molto complicato continuare a gestire la sua creatura che 10 anni fa esordì con l’1,96%. Ora, arrivato al 26%, per Fratelli d’Italia il cambiamento è epocale. Un dato su tutti? Il (fu) piccolo partito sovranista, a cui per anni sono arrivati spiccioli, solo tra luglio e agosto scorsi ha ricevuto oltre 2 milioni di finanziamenti privati. Il numero degli eletti, nonostante la sforbiciata della riforma, è passato da 61 a 181. Si triplicheranno quindi i rimborsi ai gruppi parlamentari, che saliranno di circa 6 milioni annui. Così come si è è moltiplicato il 2 per mille: dall’ultima tranche sono arrivati 2,7 milioni rispetto alle briciole degli anni precedenti. La fisiologica conseguenza è che la storica sede di via della Scrofa, già casa di Msi e An, sta ora stretta agli eredi di FdI.
Chi guiderà, quindi, a livello operativo questa maxi struttura adesso che «Giorgia» è lassù, «Ignazio» (La Russa) guida Palazzo Madama e «Lollo» (Lollobrigida), cognato di Meloni, è ministro? La bussola indica il nome di Giovanni Donzelli, 46 anni, fiorentino, deputato al secondo mandato, fedelissimo della leader da quando erano i ragazzini di Azione giovani. «Il Donze», come lo chiamano gli amici, finora è stato il capo dell’organizzazione del partito: ha gestito tutte le ultime campagne e i grandi eventi, come il pienone in piazza Duomo a Milano. Per Donzelli, nei prossimi giorni, potrebbe arrivare un’investitura formale, simile a quella di coordinatore unico che Meloni aveva affidato a Guido Crosetto. La neopremier, militare a livello organizzativo, sa bene che il segreto della sua scalata non sta solo nella sua figura di «coerente oppositrice» agli ultimi governi, ma soprattutto nel legame tra FdI e il territorio. «Il partito deve continuare a essere la base di tutto, la chiave dell’azione di governo – teorizza proprio Donzelli —. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad ascese politiche irresistibili e a cadute rovinose. Un esempio su tutti? Il 40% di Renzi con il Pd, e poi… Il partito non può essere trascurato».
E pensare che il fedelissimo di Meloni, da consigliere regionale, era salito alle cronache nazionali conducendo una battaglia «contro il sistema della sinistra toscana a difesa dei soldi pubblici» e sotto accusa erano finite anche le stesse aziende della famiglia Renzi. Scherzo del destino ha voluto che, da ragazzino, Donzelli avesse lavorato da strillone di giornali proprio per una delle società del padre dell’ex premier. Una moglie, due figli, una laurea mai presa, più di un tafferuglio in facoltà («Ma era per difendermi da quelli di sinistra»), Donzelli è arrivato a Montecitorio nel 2018: c’è chi lo ha ribattezzato «monaco di destra», perché «la sera torna sempre a casa per cena: sennò Roma, lontano dalla famiglia, ti risucchia, è meglio così».
Murato nelle stanze del partito, fin da quando il trionfo era nell’aria aveva avvertito gli amici (increduli): «No, il ministro non lo voglio fare, rimango al partito». E ora sta pensando, con «Giorgia», a come allargare la sede di via della Scrofa, perché quegli uffici non bastano più. FdI ha infatti solo una decina tra dipendenti e collaboratori, cioè il massimo che il partito poteva permettersi prima del boom. Il Pd, per fare un paragone, di dipendenti ne ha 150. E ora ci sarà da potenziare la struttura. Perché solo per le mansioni di ufficio a FdI sono subissati da migliaia di mail e telefonate ogni giorno.