Il Messaggero, 25 ottobre 2022
Processo Moccia, 16 giudici diversi in sole 15 udienze. Roba da record
Un record da guinness dei primati o da teatro dell’assurdo. Si sono avvicendati ben 16 giudici diversi nel corso delle 15 udienze celebrate finora davanti alla nona sezione collegiale del Tribunale di Roma, nel processo a carico del clan camorristico Moccia, scaturito dall’operazione di settembre 2020 della Dda che portò al sequestro di alcuni ristoranti nel centro della Capitale. Una girandola frenetica di toghe che ha lasciato spiazzati i difensori dei sei imputati accusati di estorsione e fittizia intestazione di beni aggravate dal metodo mafioso: in pratica a ogni udienza si è presentato almeno un nuovo magistrato a comporre il collegio. Addirittura, il 5 ottobre, quando uno dei giudici è risultato incompatibile, «si è attinto a chi passava in corridoio», spiegano sarcastici e sconfortati i legali. In effetti, è stato necessario far ricorso a un magistrato che stava celebrando i processi per direttissima.
LA PROTESTA
Una situazione definita dalla categoria forense di «inaudita gravità», al punto che la Camera penale di Roma, proprio in occasione della prossima udienza del processo prevista per il 2 novembre, ha proclamato l’astensione «per manifestare la propria solidarietà al collegio difensivo in quello che si è trasformato nel funerale del processo accusatorio». L’Unione delle Camere penali ha indetto lo stato di agitazione a livello nazionale, riservandosi di chiedere al neo ministro della giustizia Carlo Nordio un intervento normativo. Si tratta, infatti, di un fenomeno che si sta verificando sempre più spesso in molti tribunali italiani, specie quelli calabresi e siciliani dove si tengono tanti dibattimenti per 416bis. «È semplicemente incompatibile con i più elementari principi del giusto processo, e prima ancora con le regole della logica e del buon senso, l’idea non solo che il giudice che pronuncia la sentenza sia diverso da quello che ha raccolto la prova, ma addirittura che il giudice possa mutare a ogni udienza istruttoria», denuncia l’Ucpi.
RUOLI SCOPERTI
All’origine di queste continue «porte girevoli» all’interno del collegio nel corso dello stesso processo, ci sarebbe innanzitutto la cronica carenza di organico nella magistratura. I giudici, spesso, vengono destinati a nuove funzioni o a nuovi uffici, lasciando il ruolo scoperto. Un’emergenza che ha portato il presidente del Tribunale di Roma a stabilire un tetto nel numero dei processi per mafia. «In questo modo si riduce la funzione giudiziaria a una mera formalità – commenta Vincenzo Comi, presidente della Camera penale di Roma – Il dibattimento dovrebbe essere il cuore del procedimento penale, invece così viene svilito. La sostituzione in corsa del magistrato non può essere la soluzione al deficit d’organico. E comunque dovrebbe essere l’eccezione, non la regola». La sentenza Bajrami delle sezioni unite della Corte di Cassazione ha infatti abrogato nel 2019 il principio di immutabilità del giudice. «Immaginiamo di essere sotto processo e che la decisione sulla innocenza o colpevolezza la prenda un magistrato diverso da quello che ha seguito tutto il dibattimento – spiega l’avvocato Comi – Non conosce nulla, arriva e decide. Si può chiamare processo rispettoso dei diritti fondamentali delle persone? È una giustizia credibile? Tutto questo nel tribunale più grande d’Europa».
Tornando al processo dei 16 giudici, l’ennesimo cambio è avvenuta dopo la requisitoria in cui il pm Giovanni Musarò aveva chiesto 19 anni di reclusione per Angelo Moccia, ritenuto il capo del clan, e condanne da 3 anni e mezzo a 12 anni per gli altri 5 imputati. Un nuovo membro del collegio, quindi, è subentrato nel corso delle arringhe dei difensori. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, innescando la protesta dei penalisti.