il Giornale, 25 ottobre 2022
Intervista ad Angelo Finardi
Ha 70 anni ma una vitalità da far paura; nella musica è curioso ed eclettico quanto basta per passare con stile da un genere all’altro, dal blues (le sue radici) all’opera (sua mamma è una cantante lirica). Eugenio Finardi è sempre a caccia di nuovi progetti e l’ultimo, Euphonia, è particolarmente intrigante e lo avvicina al jazz. Finardi ha preso alcuni dei suoi classici – da La radio a Extraterrestre – e li esegue in forma di suite – uno dopo l’altro senza interruzione – accompagnato dal pianoforte di Mirko Signorile e dal sassofono di Raffaele Casarano. Un album vissuto e sentito, così come i concerti (il primo sarà il 5 novembre a Zurigo per poi tornare in Italia, a Napoli, il 14 e proseguire fino a primavera, poiché a Milano sarà al Teatro Lirico il 18 marzo) che a questo giro saranno così intimisti e coloriti.
Come mai questo format?
«L’idea mi è venuta proprio dai concerti con Casarano e Signorile. In concerto tra un brano e l’altro di solito io parlo con il pubblico, stavolta voglio far correre un fluido sonoro che attivi la coscienza, la mia e quella di chi ascolta, che riaccenda ricordi e memorie pubbliche e private».
Una bella sfida.
«Vivere il tempo del Covid alla mia età è difficile, ho riflettuto e vissuto una cesura netta con il passato. Ora voglio raccontarmi per quello che sono oggi».
Come ha scelto le canzoni?
«Secondo la logica di un racconto che parta da dentro e arrivi a tutti. Volevo trasmettere ogni tipo di emozioni ma lanciare un messaggio positivo. Infatti l’album si apre con le parole Da piccoli ci hanno insegnato e si chiude con il per ricominciare di Extraterrestre. Praticamente è un concerto in studio che mette alla prova la nostra coscienza di musicisti e ha una sua logica musicale».
Si avvicina al jazz.
«I dettagli sono molto curati e i brani sono molto cambiati. La radio per esempio, che è un brano estremamente attuale (anche se qui si parlava delle radio libere) è molto lenta e dolce, quasi swingante. O Ambara Boogie, che è molto difficile da cantare. Insomma questo disco è un piccolo macrocosmo, lo definirei così, con tante sfaccettature. Ci sono canzoni a cui ho rinunciato per forza come Musica ribelle. È nata per vivere con un suono di una potenza inaudita con basso, chitarra e batteria e poi ci vuole tanta voce. Non voglio morire sul palco, grazie».
Com’è Finardi oggi?
«Quello che c’è nel disco. Sono uno che racconta, racconto tanto tempo e viaggio nel tempo che ha un suo flusso e riflusso. Un tempo per esempio c’era la guerra in Afghanistan e oggi c’è quella in Ucraina. Le cose cambiano ma non mutano mai completamente e anche io sono così».
Sembra molto soddisfatto del suo progetto.
«Sì, è curato fin nei minimi particolari senza essere lezioso. Anche in copertina ci sono tre canarini che sono della famiglia dei passeracei che si chiama Euphonia musica».
La musica di oggi?
«La prima cosa da dire è che il rock è la nuova musica classica; cioè un classico che dagli anni ’50 si evolve e non muore mai. Prima Elvis, poi negli anni ’70 il rock duro (e in Italia un gran movimento con gli Area, Walter Calloni, Alberto Camerini, Lucio Fabbri), poi negli anni Ottanta l’elettronica e via via sempre nuove innovazioni ma in linea con la tradizione. Il rap ha una ritmica straordinaria comunque, anche se faccio fatica a capirlo per la velocità di scansione delle parole».
Già, musica nuova, nostalgia del passato?
«Guardo sempre avanti, seguo un flusso vitale e musicale che cambia continuamente».
Come ricorda i suoi esordi?
«Se incontrassi Keith Richards potrei dirgli che ho iniziato prima di lui incidendo da bambino, nel 1961, il 45 giri Palloncino rosso fuoco. Poi sono entrato alla Numero Uno di Mogol e Battisti dove ho conosciuto Demetrio Stratos e tutti gli altri che nei decenni successivi avrebbero movimentato la scena italiana. Ma prima ancora avevo fatto il corista per l’etichetta Ariston accompagnando persino i Pooh e Marcella Bella in canzoni come Montagne verdi».