ItaliaOggi, 25 ottobre 2022
Con 9 senatori ministri Meloni s’è data la zappa sui piedi
Chi gliel’ha fatto fare? Perché Giorgia Meloni, a esteso giudizio attentissima nei comportamenti, ha sballato totalmente la prima uscita ufficiale, quando ha letto l’elenco dei ministri? Erano troppi, si dirà. Senza dubbio. Non facevano una buona impressione i nove sprovvisti di portafoglio (che, si ricordi, seguono tradizionalmente il presidente negli elenchi, e sono di solito indicati con la preposizione “per” anziché con il “di”, senza dire che non sussiste alcun obbligo di designarne anche uno solo). Verissimo. Qualche sbavatura nei nomi si avvertiva. Inevitabile.
No: dove la Meloni sbagliava era nel mettere insieme la bellezza di nove-senatori-nove. Troppi, sicuramente. Non perché i senatori vadano sminuiti rispetto ai colleghi dell’altra Camera, ma per una considerazione che è venuta immediata a quanti seguano qualche barlume di vita parlamentare. A palazzo Madama la maggioranza non vanta i granitici margini che la segnano a Montecitorio. Mettiamo insieme 63 di Fd’It, 29 del Carroccio, 18 di Fi e 6 civici: arriviamo a 116, su un totale di 206, vitalizi compresi. Sulla carta il divario sarebbe solido; la realtà è diversa. Bisogna, infatti, tener conto di chi non vota. Intanto, il presidente, Ignazio La Russa. Non votano nemmeno i due suoi vice spettanti al centro-destra, quando siedono sullo scranno più elevato.
Soprattutto, chi fruisce di un incarico ministeriale rarefa le proprie presenze nelle votazioni, per forza di cose: può essere all’estero, può trovarsi bloccato col o nel proprio dicastero, non riesce a far coincidere impegni politici e voti senatoriali. Matteo Salvini è impegnato sul duplice fronte del dicastero e della conduzione politica: fatalmente dovrà comprimere la presenza nell’aula del Senato. Chi mai ritiene che Silvio Berlusconi vada regolarmente, tolte le occasioni istituzionalmente più importanti? Nessuno gli fa credito. E via di questo passo, comprese le naturali malattie, cui i senatori sono ovviamente più soggetti.
Il problema, tuttavia, non riguarda soltanto l’aula. Anzi, s’incentra specie sulle commissioni, ove i margini possono già essere ridotti sicché operazioni di presenza da parte degli oppositori, approfittando delle assenze nel centro-destra, potrebbero abbondare. In questo caso a vantaggio della Meloni giunge lo spappolamento di quanti le si oppongono, oltre che le condizioni congressuali del Pd, ancora condotto da Enrico Letta dotato di scarsa fiducia da iscritti e dirigenti ed eletti. Sarebbe verosimile ridurre a meri incidenti di percorso alcuni strafalcioni commessi in commissione.
La frittata ormai è fatta. Non c’è rimedio, ove si tolga l’impegno costante dei potenziali assenti nella maggioranza per recarsi a palazzo Madama ogni volta ve ne sia necessità, non solo in assemblea. Meglio, purtroppo per la maggioranza, è sperare che le opposizioni, non si sa per quanto ancora divise e anzi contrapposte, non organizzino invasioni inattese e continuino ad assommare indifferenza, impegni, assenze immotivate.
È quel che riconosce un ministro abbarbicato alla Meloni, che ha voluto portarselo a palazzo Chigi quale responsabile per i rapporti col Parlamento. È Luca Ciriani, finora capogruppo per Fd’It, guarda caso proprio al Senato. All’opportuna domanda sull’attenzione ai numeri che la nuova maggioranza dovrebbe prestare a palazzo Madama, risponde: «Sta a noi garantire che ci siano. Ma nessuno di noi è stato eletto per fare il turista: i ministri si organizzeranno per essere presenti in aula». Già: in aula. E in commissione?
In altre parole, dovrebbero comportarsi come Clemente Mastella quand’era ministro della Giustizia e, insieme, senatore, durante il gabinetto Prodi II. Mastella, titolare a largo Arenula, non mancava di votare a palazzo Madama. Sapranno i non pochi senatori ministri (cui andranno aggiunti i loro vice, quando saranno stati designati) comportarsi rigidamente come altrettanto Mastella?