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 2022  ottobre 24 Lunedì calendario

LA GERMANIA E’ LEGATA MANI E PIEDI ALLA CINA: IL 46% DELLE IMPRESE TEDESCHE DIPENDE DA MERCI CINESI - NEL CASO DI UNA CRISI CON PECHINO, METÀ DELLE FABBRICHE TEDESCHE RISCHIA LA PARALISI - IL VOLUME DEGLI SCAMBI TRA I DUE PAESI SUPERA I 200 MILIARDI DI EURO ALL'ANNO - IL MINISTRO DEGLI ESTERI BAERBOCK SPINGE LE IMPRESE TEDESCHE A DIVERSIFICARE DI PIÙ L'IMPORT-EXPORT - MA C’E’ LA RESISTENZA DEL CANCELLIERE SCHOLZ CHE VUOLE VENDERE AI CINESI IL 30% DEL PORTO DI AMBURGO (COSA CHE PERMETTEREBBE A PECHINO DI AUMENTARE LA SUA INFLUENZA SU BERLINO) -

"La Cina ci procurerà ancora molti guai". L'ex capo dei servizi segreti tedeschi, August Hanning, non ha dubbi. "Mai abbiamo visto una tale corsa al riarmo nel Mar della Cina". E dopo il Congresso del partito comunista cinese che ha cementato la postura militare più aggressiva e la stretta autoritaria di Xi Jinping, l'ex numero uno dell'intelligence tedesca ha incontrato la settimana scorsa un numero ristretto di giornalisti. E ha avvertito che un ripensamento tedesco dei rapporti con la Cina "è più che urgente".

Tanto più alla luce del rischio di un'invasione di Taiwan e di un collasso dei rapporti tra Occidente e Pechino. Per dirla con l'attuale capo dei servizi segreti interni, Thomas Haldenwang, "se la Russia era la tempesta, la Cina è il cambiamento climatico". In realtà il ministero degli Esteri guidato dalla verde Annalena Baerbock ci sta lavorando da settimane. Sta preparando il primo documento strategico sui rapporti Germania-Cina, volto a imprimere un deciso cambio di traiettoria alle relazioni con Xi.

E il motivo lo esplicitato la ministra, anche di recente: "Dobbiamo imparare dai nostri errori nella politica verso la Russia". Il documento, che nelle intenzioni di Baerbock dovrebbe essere interministeriale, vuole mettere in evidenza la "debolezza strategica" dell'Europa nella scelta di dipendere dalle importazioni cinesi, riporta una fonte autorevole. Secondo l'istituto economico Ifo, il 46% delle imprese tedesche dipendono dall'arrivo puntuale di merci cinesi.

Nel caso di una crisi con Pechino, insomma, metà delle fabbriche tedesche rischierebbe la paralisi. E l'autorevole think tank Merics ritiene che un eventuale conflitto tra la Cina e Taiwan potrebbe rendere molto concreto uno scenario così apocalittico. Quanto sia complicato cambiare scenario quando la Cina è diventata ormai da anni il principale partner commerciale di Berlino lo dicono anzitutto i numeri. Il volume degli scambi supera i 200 miliardi di euro all'anno, colossi della chimica come Basf o dell'auto come Daimler e Volkswagen dipendono mostruosamente dal mercato cinese.

L'obiettivo di Baerbock è dunque spingere le imprese tedesche a diversificare di più - non solo sulle importazioni, ma anche sull'export e gli investimenti verso Pechino. Il ministero è in un dialogo riservato e costante con l'industria per definire il documento strategico favorire un cambio di rotta. Ma un ripensamento è complicato, le resistenze grandi. La presa di posizione decisa verso la Cina di Baerbock discende anche da una tradizionale posizione molto più dura dei Verdi rispetto alla Spd verso Pechino.



Ma fa anche i conti "su molti nemici", rivela la fonte. Anzitutto - a proposito dei socialdemocratici - alla cancelleria. L'esempio più clamoroso di questa (ennesima) spaccatura in seno alla maggioranza "semaforo" del governo Scholz è la querelle sul porto di Amburgo e sull'imminente viaggio del cancelliere in Cina, previsto per il 4 novembre. Scholz sarà il primo leader occidentale a stringere la mano a Xi Jinping dall'inizio della pandemia. Ma le due vicende, peraltro intrecciate, del viaggio a Pechino e del possibile accordo sul secondo più importante porto d'Europa, rappresentano l'ennesima fuga in avanti di Berlino anche per la Commissione europea.

Che in primavera aveva già fatto pervenire un parere negativo a Berlino sulla cessione del porto anseatico, ricordando a Scholz che attraverso quell'hub passano "molti dati sensibili". E l'irritazione è grande anche per la visita di Stato, con tanto di delegazione economica, a Pechino.

In un momento delicatissimo dei rapporti dell'Occidente con Xi. La Cina vuole rilevare attraverso Cosco una quota della società che gestisce il porto anseatico HHLA ma anche il 35% di Tollerort che amministra il terminal dei container. E vuole sedere nei consigli di amministrazione delle aziende portuali. Il 30% delle merci in Germania che partono per la Cina o arrivano da lì passano attraverso Amburgo. Ma i sei ministeri coinvolti nell'analisi dell'accordo - Interni, Esteri, Infrastrutture, Economia, Finanze e Difesa - hanno unanimemente espresso parere contrario.

Anzitutto il dicastero dell'Economia, guidato dal verde Robert Habeck. Che ha sentenziato che il Porto di Amburgo è un'infrastruttura strategica che non può essere ceduta a Pechino. Tanto più che l'ingresso di Cosco nel terminale per l'arrivo delle merci Tollerort produrrebbe "un potenziale di ricatto" sugli affari del porto. La Cina è il cliente più importante del porto di Amburgo. Habeck, dunque, ha tentato di porre il veto. Ma Scholz non ha messo il suo parere all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, dove dovrebbe essere votato. Se non lo farà per la fine di ottobre, l'accordo passerà automaticamente. Ma sulla vicenda, nel frattempo, è scoppiata una bufera.

Nella maggioranza i malumori sono enormi. La responsabile della difesa della Fdp, Marie-Agnes Strack-Zimmermann, ha twittato: "Cosa deve accadere nel mondo perché la Germania smetta di inchinarsi ai nemici del mondo libero e democratico? Vendere infrastrutture critiche alla Cina è un errore clamoroso. Chi consiglia il cancelliere?". E per il verde Anton Hofreiter "la Germania non deve ripetere con la Cina l'errore fatto negli ultimi anni con la Russia". Soltanto il sindaco della città anseatica, Peter Tschentscher, spinge per l'intesa con Pechino, e supporta il suo predecessore, Olaf Scholz.

Che è stato primo cittadino di Amburgo fino al 2018. Sui media tedeschi sono rimbalzate notizie anche su un parere contrario dei capi dell'intelligence tedesca, oltre all'irritazione della Commissione Ue. Ma anche dall'esperto di sicurezza Roderich Kiesewetter, presidente della Commissione parlamentare di controllo dei servizi segreti - il Copasir tedesco - arriva un avvertimento inequivocabile.

A Repubblica, il politico Cdu spiega che "nel medio termine, il Porto di Amburgo non è un buon investimento economico. Perché conterà sempre meno, negli scambi globali. E allora perché i cinesi lo vogliono, si dirà? Perché ha una grande importanza strategica, perché darà la possibilità ai cinesi di influire sulla nostra economia, di sorvegliarla, di sapere cosa fanno le navi taiwanesi".

Cosco, totalmente controllata dallo Stato cinese, è già presente in sette importanti porti europei. Secondo Kiesewetter la Germania "deve diversificare di più, in futuro, collaborare con i Paesi che soffrono le pressioni della Cina: India, Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Australia, Filippine. Altrimenti non controlleremo, ma subiremo il rapporto con la Cina".