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 2022  ottobre 24 Lunedì calendario

Pannofino parla di Boris

Videochiamate oltreoceano a scandire la giornata, una piattaforma americana, una serie biblica da “sbloccare”, algoritmi tirannici a dettare le trame e i nuovi codici del politicamente corretto che declinano aggettivi e sostantivi in un inclusivo “u”. A dodici anni dalla terza stagione e a undici dal film, Boris è tornato e graffia insieme a noi, «sennò non sarebbe Boris», avverte Francesco Pannofino al telefono da Prato, in tournée con leMine vaganti ma di rientro oggi per l’anteprima dei due episodi diBoris 4 ,evento finale della Festa di Roma e Alice nella città.
La serie (prodotta da The apartment), diretta da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, sarà su Disney+ dal 26 ottobre. L’assaggio presentato convince assai: il prim’attore Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) ha sposato Corinna-Cagna maledetta (Carolina Crescentini), la loro casa di produzione dopo un Gengis Khan fallimentare punta a una serie su Gesù cinquantenne, «una teoria di studiosi israeliani», con cui Stanis ha convinto la dirigente della Piattaforma. Arruolati in fretta tutti i protagonisti storici, Arianna (Caterina Guzzanti) e Alessandro (Alessandro Tiberi), l’ex stagista ora dirigente della piattaforma e l’elettricista Biascica (Paolo Calabresi). E torna Corrado Guzzanti: «Mariano era uno psicopatico di insuccesso, ora è di successo», una sorta di predicatore americano legato agli assalti di Capitol Hill. Al centro di tutto René Ferretti, tra sogni e fallimenti, e il suo pesce Boris, più vivo che mai: «Gli do i gamberetti».
Finalmente “Boris 4”.
«Dopo tanti anni abbiamo realizzato il sogno di noi tutti.
Una gioia grande. Perché c’è un testo scritto benissimo, per l’armonia e la complicità tra noi.
Quando è scomparso Torre abbiamo pensato che questa avventura fosse finita, ma Mattia ci ha lasciato tanto, abbiamo lavorato anche sulle sue idee».
La serie si apre su Ferretti in un crepuscolo metropolitano, una passante sciroccata lo insulta.
«L’avevamo lasciato alle prese con la Rete, coi direttori e i funzionari. Oggi c’è la piattaforma. Ci siamo adeguati, anche se i personaggi sono rimasti gli stessi, come nei fumetti René non riesce a liberarsene. Un gruppo di boomer che si ritrova ad affrontare nuove tecnologie e codici comportamentali, maneggiare l’inclusione, cose a cui non erano abituati. Da qui scaturiscono una serie di equivoci e paradossi che sono quelli diBoris ,rivisti e modernizzati».
La serie resta scorretta assai.
«Questo è l’obiettivo. Non possiamo essere buoni. E noi ironizziamo suuna piattaforma che è quella a cui dobbiamo il lavoro, che ci ospita. Ma c’è anche l’intelligenza della Disney di capire che si può essere autoironici rispetto a regole e regolette che a noi incuriosiscono».
L’emozione sul set?
«La prima scena, il funerale di Itala, Roberta Fiorentini: anche lei non è più con noi. Era sempre seduta vicino a me, avevamo un rapporto speciale.
In quel primo giorno c’è stata la commozione ma anche l’emozionenel ricominciare, scoprire che i rapporti tra noi non erano cambiati. E poi, il divertimento e la fatica: abbiamo trottato per portare a casa questo risultato».
Tornano i vecchi personaggi e i nuovi ospiti.
«Mi ha fatto tenerezza Edoardo Pesce (farà Giuda ndr ),un bravissimo attore, arrivato come un fan. Alle prove di lettura rideva come un matto, sul set era emozionato, felice».
E nuovi tormentoni.
«Gli autori sono stati bravi a non appoggiarsi ai vecchi in modo spropositato: “Cagna maledetta”, “smarmella tutto”, “a cazzo di cane”, “dài dài dài”, li usiamo ma non troppo e ne sono venuti fuori nuovi. Uno di questi gira intorno all’algoritmo, che è come fosse un altro personaggio, che nessuno sa bene che cazzo è».
Quello di René Ferretti è stato per lei un ruolo regalo.
«Una fortuna che capita raramente nella carriera di un attore, l’occasione non basta, ci devi mettere del tuo.
Ricordo che quindici anni fa lessi la puntata pilota da girare per capire se il progetto sarebbe partito e pensai subito che era un capolavoro, perché raccontava attraverso questi personaggi, come lo fa oggi, l’Italia.
La serie è una bellissima metafora del Paese, non è una storia circoscritta agli addetti ai lavori di cinema e televisione. Qui si parla dei rapporti tra le persone, c’è molto di più. E poi soprattutto lo si fa facendo ridere».
Cosa le ha regalato negli anni la popolarità di René?
«Tantissimo. Tra quelli che vengono a teatro e mi aspettano fuori riconosco dallo sguardo gli appassionati diBoris ,mi guardano come fossi Sant’Antonio».
Cosa le piace di lui?
«Il suo lottare contro tutto per avere un risultato artistico personale, anche se poi tutto finisce in vacca. La forza di questo personaggio è che davvero ci prova ed è convinto che finalmente farà una cosa bella».
“Boris” per lei è un album dei ricordi.
«Sì. La quarta serie è stata girata a Cinecittà ma le altre tre e il film da Cartocci, uno stabilimento più piccolo, due teatri di posa sul Raccordo Anulare, all’altezza di Ciampino. Noi personaggi fissi avevamo i camerini in muratura, che per mesi sono stati la mia casa. Ero convocato a tutte le ore e nelle pause suonavo la chitarra, ho composto anche delle canzoni...».
La serie si vedrà in tutto il mondo, c’è anche un trailer in inglese.
«Anche le altre stagioni sono state amate all’estero. È una storia italiana ma certe cose succedono ovunque.
Soprattutto c’è una nuova generazione che ha scoperto Borisdurante la pandemia. Me ne accorgo da mio figlio, che ha 24 anni. Quando da bambino lo portavo sul set diBorisdopo cinque minuti se ne voleva andare. Crescendo l’ha amato e ora sa tutte le battute a memoria. Da questa esplosione di popolarità è nata l’idea di un ritorno vero».
E ora?
«Spero in un’altra serie. Adesso Borisbisogna conoscerlo per partecipare alle conversazioni: “Non lo hai mai visto? Ma sei un coglione!”. Anzi, per rispettare il codice del politicamente corretto, sei un coglion-u”».