la Repubblica, 24 ottobre 2022
Parla l’editore italiano di Annie Ernaux
L’applauso è interminabile e commosso. A Roma, a Villa Medici – una delle sue prime apparizioni italiane dopo il Premio Nobel – Annie Ernaux è accolta da un’onda impressionante di affetto. Lei sorride quasi con timidezza, e non ha l’aria stanca. Dice di avere cominciato a prendere coscienza del riconoscimento in serate come questa e che, nonostante l’immensa «camera dell’eco» che un Nobel produce, non si farà troppo trascinare sulla scena. Cercherà di difendere lo spazio appena fuori Parigi in cui scrive da cinquant’anni. Tanto più che intende concentrarsi sul discorso da pronunciare a Stoccolma il 10 dicembre, parole a cui tiene particolarmente, e che implicano «una grande responsabilità». Sarà una Ernaux intensamente politica: e lo si intuisce già bene nelle riflessioni che fa sul tema della lingua come riflesso di una posizione sociale, sulla necessità di non farsi schiacciare dalle parole delle classi dominanti. E di avvedersi del rischio di usarle senza rendersene conto.
Ernaux parla della sua scrittura personale e politica insieme, del suo tentativo di scrivere «un’autobiografia di tutti» con Gli anni,della necessità di un femminismo le cui ragioni siano intese e fatte proprie anche dagli uomini («conviene anche a loro, e se non lo capiscono non cambierà niente»). La interroga, con emozione, Lorenzo Flabbi, a nome dell’editore L’Orma, che ha puntato su Ernaux a partire dal 2014 – casa editrice appena fondata – traducendo vecchi titoli come Il posto, facendo conoscere i più recenti. «Al momento dell’annuncio del Nobel – racconta insieme al cofondatore Marco Federici Solari – abbiamopensato che bisognasse richiedere il Var, come in una partita di calcio, rivedere l’azione». Ma a differenza di Gurnah o Tokarczuk, i cui nomi hanno messo in difficoltà i giornalisti di mezzo mondo, il nome di Ernaux è risuonato indubitabile e trasparente. Nelle liste dei bookmaker circolava già da un po’, e Flabbi confessa di averci sperato soprattutto l’anno scorso. Quest’anno era partito senza illusioni; e per distrarsi si è dedicato a un’impresa di “bricolage editoriale”: la realizzazione di elegantissimi espositori in legno per la fortunata collana dei “Pacchetti” – libri formato postale, da affrancare e imbucare – sbarcata anche in Francia (“Les Plis”) con notevole fortuna.
All’Orma si lavora in squadra, senza ruoli o gerarchie troppo rigide: gli editori possono improvvisarsi falegnami e occuparsi del progetto grafico, lavorano alle traduzioni; i redattori sono allenati alla duttilità.La scommessa di Flabbi e Federici Solari ha coinciso con un desiderio di cambiare vita. Un francesista e un germanista con esperienza di libraio decidono di fondare un marchio a partire dalle loro passioni letterarie. «Siamo partiti – raccontano – da una sorta di lista della spesa: un elenco di nomi di autori a noi cari, di aree linguistiche di nostro interesse. Scrittrici e scrittori tradotti poco, o dimenticati dall’editoria italiana. Uno dei primi è stato Hoffmann. Ben presto, insieme al recupero di Julien Gracq, è arrivata Ernaux. Ci sembrava quasi impossibile che fosse fuori catalogo e che un romanzo come Il posto, quello da cui siamo partiti nel riproporla, non fosse mai stato pubblicato in Italia».
Nella scrittura di Ernaux, nel suo lavoro spietato di scavo in sé stessa, nel cuore etico-politico della sua narrazione autobiografica, Flabbi ha colto una perfetta coincidenza «con la nostra idea di letteratura, con ciò che pensiamo debba essere la dialettica tra visione e azione in uno scrittore».
All’indomani del premio, c’è stato con Ernaux uno scambio di vocali WhatsApp commossi. «E molti cuoricini». Ora, finalmente, l’abbraccio di persona. Parlano della scrittrice francese come di un’amica («È raro che sia tanto stretto e affettuoso il rapporto fra un autore e un suo editore straniero»): capace di ascolto, cordiale («il passaggio da Madame Ernaux a Annie è stato fulmineo»), generosa e timida. «Prima di un incontro pubblico è presa dall’ansia di non essere adeguata: cosa devo dire? E alla fine: sono andata bene?».
Questo non le toglie un’aura naturale di carisma, da «profeta affabile». Scherzando, ma nemmeno troppo, i due editori dicono che questo Nobel cambierà più la loro vita che quella di Ernaux: d’altra parte, il prenotato del nuovo romanzo in uscita a novembre, Il ragazzo, si aggira intorno alle trentamila copie e circa centomila sono le copie degli altri titoli in catalogo che rientrano nelle librerie. Faccio l’avvocato del diavolo e chiedo come reagirebbero alla proposta di acquisizione di Ernaux da parte di un grande editore (così fuper Herta Müller, passata dopo il Nobel da Keller a Feltrinelli). Silenzio. Risata liberatoria. «Mai, per nessuna ragione al mondo! Sarebbe come sottrarre a noi stessi ciò in cui abbiamo sempre creduto. Anche e soprattutto quando non ci credevano gli altri». E ora? «Possiamo sentirci più solidi, più stabili. Guardare al prossimo decennio con la certezza che andremo avanti, rafforzando la squadra. Il successo di Ernaux illumina in prospettiva ma anche retroattivamente il nostro lavoro di ricerca letteraria. Keun, von Arx, Keyserling, Guimard, lo stesso Gracq possono essere considerati autrici e autori “di nicchia”. Ma il modello Adelphi insegna o dovrebbe insegnare qualcosa…». Flabbi e Federici Solari pensano anche al varo di una collana di stampo scientifico e insieme politico, «quanto mai necessaria in un tempo di confusione tra reale e fittizio, un’epoca di contro-verità». Intanto, però, c’è da godersi l’effetto Nobel. Flabbi non esclude un passaggio a Stoccolma per la cerimonia di dicembre. «Magari anche solo per fare un brindisi dalle parti del Konserthuset, il meraviglioso teatro in cui vengono consegnati. È una cosa che capita una volta sola nella vita, no?».