il Giornale, 24 ottobre 2022
Intervista a Francesco Lollobrigida
Riunioni su riunioni, dal primo Cdm all’insediamento al ministero dell’Agricoltura in Venti Settembre, passando per la Camera. Dove ha posteggiato la sua Fiat 500X nera, ultimo giorno di libertà prima di essere preso in consegna dalla scorta.
Ministro Lollobrigida, cos’ha trovato nel dossier agricoltura ereditato dal governo Draghi? A caldo pensa di invertire la rotta o di proseguire sulla strada tracciata?
«Faremo una valutazione su tutto, senza dimenticare la gestione ordinata del rapporto con il governo uscente. In prospettiva lavoreremo tenendo conto della precedente esperienza. Nei prossimi giorni entreremo nel merito dei dossier, che vanno approfonditi perché delicati e determinanti per questo settore. Il nostro agroalimentare ha raggiunto oltre i 500 miliardi di produzione annua per oltre 50 miliardi di esportazione, ma poggia su un sistema estremamente fragile. La combinazione di fattori come l’aumento dei costi delle materie prime, dei carburanti, dei fertilizzanti e i costi della pandemia hanno ulteriormente messo in difficoltà un settore che era già fortemente in crisi, portandolo a livelli preoccupanti».
Quale sarà il primo decreto che proporrà?
«Negli ultimi dieci anni hanno chiuso oltre 26.000 stalle, pari al 50% del totale presente in Italia. Il reddito netto delle aziende è drammaticamente sceso del 60%. Senza dimenticare l’Italian Sounding che vale 100 miliardi e sottrae risorse alla nostra economia. Bisogna togliere il limite ai terreni incolti: abbiamo 1 milione di ettari coltivabili. Dobbiamo aumentare la resa delle produzioni attraverso un piano nazionale di coltivazione che non può prescindere da contratti di filiera chiari. Attivare una legge sulle pratiche sleali, affinché non ci siano schiacciamenti sull’anello debole della filiera, ovvero il produttore. Investire sull’innovazione e mettere un freno alla speculazione sulle materie prime come il grano».
Inizia l’era del «sovranismo alimentare» che distinguerà questo governo. A sinistra ironizzano già sull’autarchia ed altri richiami al Ventennio.
«La sovranità alimentare è un principio che nazioni guidate da governi socialisti hanno inserito in Costituzione, come l’Ecuador e il Venezuela. La nuova denominazione del ministero, inoltre, è la stessa usata in Francia, che a differenza dell’Italia ha capito che difendere le proprie eccellenze alimentari è un dovere di ogni esecutivo. Il nostro obiettivo è tutelare l’economia agricola dalle aggressioni del mercato del falso che distorce miliardi di euro, rimettere al centro il rapporto con il settore per proteggere la filiera e il concetto di cultura rurale. Tutti i popoli hanno il diritto di definire le politiche agricole e alimentare. Anche gli italiani».
Ha partecipato al primo Consiglio dei ministri. Un aggettivo per definire il profilo di questa squadra.
«Autorevole. La squadra di governo è stata composta partendo dal merito e dalla qualità, perché tutti i ministri hanno un lungo percorso, sia politico sia istituzionale. Ma è anche un governo politico, in forte discontinuità con quelli targati da Pd e M5s».
Nel giro di poche ore lei è stato riconfermato capogruppo alla Camera e poi promosso ministro. Come va letta politicamente una procedura così irrituale?
«Non sono stato certamente il primo caso. Non considero il ministero una promozione ma un diverso ruolo in cui cercare di essere utile alla Nazione e al mio partito. Sono abituato a esprimere una aspettativa ma poi a fare ciò che è necessario. Ho detto al presidente Meloni cosa pensavo ma poi ha deciso lei, ovviamente, cosa ritenesse più utile».
Lei è tra i pochi che possano vantare una conoscenza strettissima di Giorgia Meloni. L’ha vista cambiata durante la scalata a Palazzo Chigi?
«Più stanca e sotto il peso crescente della responsabilità ma non cambiata. La forza di Giorgia è da sempre restare se stessa. Certamente adeguando a volte gli strumenti e i comportamenti ma mai perdendo di vista gli obbiettivi e restando ancorata ai suoi valori».
Oltre a condividere una lunga militanza nel partito, siete legati da parentela come cognati. Vi siete parlati su come separare o interpretare in pubblico il ruolo familiare?
«Non ce n’è bisogno. Ci siamo conosciuti quando da tempo eravamo impegnati in politica e i rapporti familiari non sono mai stati né un particolare vantaggio né ovviamente un impedimento».
Teme un autunno caldo, magari sobillato da un’opposizione irresponsabile o da forze extraparlamentari che cercano una rivincita politica.
«Auspico che questo non accada perché significherebbe fare gli interessi di una parte e non dell’Italia. Sono tante le sfide da affrontare per far ripartire la nostra Nazione. Un’opposizione responsabile e patriottica, come è stata quella di Fratelli d’Italia nella scorsa legislatura, durante la quale Fdi ha proposto provvedimenti e avanzato proposte per difendere imprese, famiglie e lavoratori, può avere solo risvolti positivi per il nostro Paese. Continuare ad attaccare le istituzioni, come fatto dalla sinistra ad esempio nei confronti dei presidenti di Senato e Camera, non è la soluzione ai problemi dell’Italia».