Il Messaggero, 24 ottobre 2022
Intervista a Carlo Nordio
«Leggete qualche libro in più e qualche saggio giuridico in meno», disse ai colleghi più giovani al momento di andare in pensione. Era il febbraio del 2017 e Carlo Nordio chiuse per l’ultima volta il suo ufficio di pm a Venezia e cominciò a dedicare parte del suo tempo alle sue passioni: la storia, la musica classica, Shakespeare, il cavallo e la sua Treviso. Ma soprattutto, e ancora, la Giustizia. Saggi, convegni, bozze di riforme. Fino all’ultimo referendum sulla giustizia, la scorsa primavera: Nordio era presidente del comitato per il Sì. E sosteneva una posizione in parte differente da quella di Fratelli d’Italia.
Ministro Nordio, tutti la definiscono un uomo libero. Anche Giorgia Meloni, quando lanciò la sua candidatura, disse che lei non aveva una storia politica alle spalle ma solo una grande preparazione giuridica, e questo bastava. Da dove comincerà al dicastero della Giustizia?
«L’emergenza del Paese riguarda i costi dell’energia. Io voglio cominciare dai costi della giustizia».
Costa molto?
«Quello che costa è la mancanza di affidabilità del nostro sistema giudiziario. Le aziende straniere non investono in Italia perché sono spaventate dalle lungaggini della giustizia. La nostra economia fondata sul credito è vulnerata dal fatto che per riscuotere quel credito bisogna aspettare anni, mentre negli altri paesi europei bastano pochi mesi. E poi c’è il problema della cosiddetta amministrazione difensiva.
Che cos’è?
«Molti imprenditori che vogliono investire sono rallentati dalle lungaggini degli amministratori pubblici. I quali non firmano permessi e licenze perché temono un avviso di garanzia. È la paura della firma, un fenomeno di cui ho scritto molto e che rallenta fortemente l’economia».
È il grande tema del reato di abuso d’ufficio. Va eliminato?
«Io credo che debbano essere fortemente revisionati i reati che riguardano la pubblica amministrazione. Tra questi il reato di abuso d’ufficio e il traffico di influenze».
Queste modifiche possono servire all’economia, ma non velocizzano il processo penale. Che fare?
«Dobbiamo partire dalla piena applicazione del codice di procedura penale introdotto da Giuliano Vassalli nel 1989, che non è mai avvenuta. Quel codice introduce il rito accusatorio cosiddetto anglosassone, funziona con principi opposti a quelli attuali, a cominciare dalle carriere separate e dalla discrezionalità dell’azione penale».
Basta a velocizzare il processo?
«No, ma tanto per fare un esempio di come funziona il sistema anglosassone negli altri paesi, in Inghilterra va realmente a giudizio solo il 5% degli indagati. In Italia pm e gip si sentono quasi obbligati a portare avanti il procedimento fino al rinvio a giudizio o all’archiviazione. Introducendo il potere per il pm di filtrare a monte i casi di cui viene investito e di non procedere per quelli che ritiene insussistenti, ci sarebbe un gran carico di lavoro in meno».
Che altri correttivi?
«L’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. La legge prevede che un uomo può essere condannato aldilà di ogni ragionevole dubbio. Allora mi chiedo come si possa condannare in appello qualcuno che è stato già assolto in primo grado, almeno con la procedura attuale».
Si spieghi.
«Adesso in appello si giudica in base alle carte del primo processo. Ecco che si possono formare due punti di vista giudiziari opposti sugli stessi atti processuali: un giudice condanna laddove un altro giudice aveva avuto un dubbio. Discorso diverso è quello del processo di appello basato su fatti nuovi, che nel primo processo non erano emersi».
Intercettazioni e manette facili. Che ne pensa?
«Per le intercettazioni spendiamo 200 milioni di euro ogni anno. Sono uno strumento importante ma sono diventate quasi l’unico utilizzato dai pm. In Italia le procure intercettano i cittadini quattro volte in più rispetto alla media dei paesi Ue e 30 volte in più rispetto ai paesi anglosassoni. E poi c’è il problema della segretezza».
Come si risolve?
«Semplice. Attribuendo la responsabilità sulla tutela del segreto al pm che le ha disposte. Se finiscono sui giornali ne risponde lui. Credo che potrebbe funzionare».
Sulla custodia cautelare cosa pensa?
«Che il diritto alla libertà personale merita una garanzia in più. Credo che la richiesta di arresto formulata da un pm dovrebbe essere vagliata da un collegio di giudici, meglio se di città diverse da quelle del pm, anche per evitare ogni tipo di contiguità. Oggi la richiesta di arresto fatta da un pm viene vagliata da un gip che magari lavora nell’ufficio accanto».
Un altro tema delicato: le correnti della magistratura. Servono?
«La libertà associativa è importante, ma non dovrebbe determinare gli equilibri nell’organo di autogoverno della magistratura. Penso che sia opportuno introdurre un meccanismo di sorteggio per i componenti del Csm, magari scegliendo in una rosa di nomi di persona autorevoli indicati dagli stessi magistrati».
Un percorso lungo, ce la farete?
«Alcune di queste cose le chiede l’Europa. Dobbiamo farcela per forza»