La Lettura, 23 ottobre 2022
Intervista a Enrique Vila-Matas - su "Questa bruma insensata" (Feltrinelli)
Due fratelli: uno è un celebre scrittore e l’altro un malpagato traduttore, collezionista di colte citazioni a uso di narratori e saggisti. Il più giovane, Rainer, vive da vent’anni a Manhattan sotto lo pseudonimo di Gran Bros, rintanato e invisibile, tanto trionfante quanto allergico alla fama e al circo promozionale dei suoi libri: 5 romanzi in tutto. Dai titoli ermetici come lui: Each Age is a Pigeon-hole («Ogni età è un casellario») oppure Wisdom Asks Nothing More («La saggezza non chiede altro»), o anche A New Future is Good Business («Un nuovo futuro è un buon affare»). E We Live in the Mind («Viviamo nella mente»), che assomiglia a un indizio. Il maggiore, Simon, voce narrante, abita la sgangherata casa famigliare di Cap de Creus, a poca distanza da Cadaqués, in Catalogna. Ed è nei giorni caldi dell’ottobre 2017, quando il Parlament dichiara l’indipendenza da Madrid, che Rainer e Simon Schneider Reus dovrebbero finalmente incontrarsi dopo tanto tempo.
In Questa bruma insensata (titolo mutuato da una frase di Raymond Queneau) si muovono i protagonisti del nuovo romanzo di Enrique Vila-Matas pubblicato in Italia da Feltrinelli con la traduzione di Elena Liverani (ma uscito in Spagna nel 2019), teso e intricato come un giallo, ironico e irriverente come un monologo di Woody Allen.
Scrittori, traduttori, agenti, ghost-writer ed editori: il mondo letterario è di nuovo al centro del suo racconto, con una figura meno abituale: il dispensatore di citazioni. Dove nasce l’idea?
«In Storia abbreviata della letteratura portatile, che fu alla fine degli anni Ottanta il primo dei miei libri ad attirare l’attenzione al di fuori della Spagna, si parlava della “congiura letteraria Shandy”, in riferimento a Laurence Sterne e al suo Tristram Shandy. In quel libro già abbondavano le citazioni e quasi tutto quello che dicevano i cospiratori erano citazioni di altri. Niente di così strano dunque, per quanto possa sembrare. Per me, che mi sono formato nell’arte attraverso, tra le altre cose, il cinema di Jean-Luc Godard, era più che naturale interrompere l’azione, come accade nei suoi film, con cartelli che ricordavano quelli del cinema muto e che includevano frasi di Einstein, Marx, il conte di Lautréamont. Inoltre, un anno prima di scrivere la Storia abbreviata fui affascinato dal libro dell’argentino Edgardo Cozarinsky, Vudú urbano, che era sia un romanzo autobiografico sia un saggio: un saggio che era come una narrazione».
L’«artista della citazione» dunque è stato concepito già allora?
«Sì. Era qualcosa di piuttosto insolito per quel tempo. Nel prologo di quel libro Susan Sontag affermava che la profusione di citazioni le ricordava “i film di Godard disseminati di citazioni”. Io credo che la frase di Sontag sia stata decisiva per me che, da quel momento, “normalizzai” già completamente il rapporto dei miei scritti con l’intertestualità, la mia necessità di raccontare qualunque evento recente della mia vita e di collegarlo a un “fatto di cultura”, forse perché la scena vissuta non solo restasse isolata nel tempo ma anche respirasse meglio all’essere narrata. Mi pare logico che, con tutto questo, io abbia finito per creare questo personaggio dal mestiere tanto strano come “l’artista citazionista”, Simon Schneider, che in cambio di pochi soldi rifornisce di citazioni geniali il suo poco talentuoso fratello Rainer. Simon, che si trova indubbiamente al centro del romanzo, spiega infatti di sentire “un bisogno assoluto di assorbire, di raccogliere tutte le frasi del mondo, una brama irrefrenabile di divorare tutto ciò che avevo a portata di mano, di impossessarmi di tutto quello che, nei momenti prosperi di lettura, mi sembrava potesse essere mio”».
Rainer, o Gran Bros, invece è un despota con il fratello, che ciononostante si mantiene fedele e collaborativo nella sua ombra. Solo per necessità economica?
«Il rapporto tra i fratelli Schneider del mio romanzo riecheggia la ben nota relazione tra Vincent van Gogh e Theo, che finanziava i suoi quadri. E infatti il primo titolo che avevo pensato per il libro era La financiación de Van Gogh. D’altra parte credo che Questa bruma insensata sarebbe stata un’opera diversa se non avessi letto, tanti anni fa, un romanzo molto intelligente e forse un po’ dimenticato di Carmelo Samonà: Fratelli. La storia di un’esperienza estrema, l’incontro fra due linguaggi: quello articolato e metodico della “normalità” e quello frammentario, perentorio, virtualmente illimitato dell’alienazione. Il tema centrale di Fratelli era, credo, la ricerca dell’altro; senza dimenticare un certo senso dell’umorismo che scorre nel libro di Samoná».
Come nel suo, del resto.
«Soprattutto quando si va scoprendo che il celebrato Gran Bros, scrittore nascosto a New York, deve tutto al genio letterario del suo remissivo fratello. La modestia è un aspetto chiave del libro. Il romanziere trionfatore è enormemente vanitoso, mentre nell’ombra suo fratello, indispensabile con le sue citazioni che determinano la colonna vertebrale dei romanzi senza che Rainer se ne renda conto, è un prodigio di umiltà. Simon è la voce onesta dell’ “autore strettamente letterario” e, quindi, invisibile che abita nel profondo del vincente e mediatico Rainer».
C’è un implicito messaggio all’editoria e ai recensori?
«No, non c’è alcun messaggio speciale. Qui si narra semplicemente del fastidio di Simon per certi critici che lodano Gran Bros senza chiedersi se non ci sia qualcun altro dietro a quei romanzi che loro definiscono “opere maestre”. Perché Simon è ben sicuro che le sue collaborazioni, i suoi trasferimenti di citazioni costituiscono l’imprescindibile “supplemento occulto” all’opera di Gran Bros, un supplemento vitale, fosse anche solo perché serve da contrappeso al sempre ben dissimulato fattore mercantile che, per quanto impercettibile, risiede in molte delle idee di suo fratello Rainer. E lasciatemi aggiungere a questo punto: come scrittore, Rainer è un inetto colossale. Non così sua moglie Dorothy. È lei che capta e decifra per suo marito ciò che, con ambizioni superiori al semplice trasferimento di una citazione, Simon invia a New York. Detto altrimenti: Dorothy e Simon compongono i romanzi di successo per l’incompetente Gran Bros. È per questo che, anche se all’inizio può sembrare che sia Rainer ad aiutare Simon, in realtà è l’inverso».
Che cosa pensa dei grandi scrittori invisibili, come Jerome David Salinger, Thomas Pynchon o Elena Ferrante?
«La letteratura, esattamente come l’ingresso nella vita, contiene dentro di sé la propria essenza, che altro non è che la scomparsa. Cominciai a scrivere di sparizioni il giorno in cui lessi un saggio molto interessante a proposito della “scomparsa del soggetto in Occidente”. Di fatto, questo tema del saggio apriva il mio romanzo Dottor Pasavento, anche se presto la mia voce di saggista deviava nella voce di un narratore che raccontava la storia di Pasavento, qualcuno che durante un viaggio a Siviglia desiderava scomparire e subito si rendeva conto quanto fosse complicato sparire dall’orizzonte. Perché per eclissarsi come fecero Salinger o Maurice Blanchot, o come fanno Pynchon o Ferrante, devi saperti sottrarre alla vista per tempo, all’inizio, quando nessuno ancora ti conosce e hai risorse sufficienti per far sì che nessuno sospetti che sei il famoso scrittore scomparso».
E lei ci ha mai pensato?
«Se al mio primo romanzo avessi tenuto conto che dovevo sparire fin da subito sarebbe stato fattibile e tutto sarebbe stato diverso per me, anche se temo molto che mi sarei trasformato in una pallida e annoiata pianta da interno».
Sullo sfondo di «Questa bruma insensata» c’è la Catalogna del 2017, nel pieno della battaglia indipendentista: che cosa è cambiato ora?
«Il mio romanzo è deliberatamente strutturato sul modello di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, dove il narratore va sul fiume Congo incontro a Kurtz. Simon va incontro al fratello Rainer che gli ha dato appuntamento a Barcellona in giorni difficili, dato che coincidono con il momento culminante della rivendicazione di una repubblica catalana. Si presuppone che Simon vada a reclamare una migliore retribuzione per le sue citazioni. I rumorosi e ossessivi elicotteri danno a questa duplice rivendicazione (repubblica catalana e aumento di stipendio per Simon) un’atmosfera da Apocalypse Now, proprio l’adattamento cinematografico del romanzo di Conrad. Però la voce narrante descrive tutta la storia, sia il suo incontro con Rainer sia il clima di guerra della città, da uno stato intermedio tra la vita e la morte, il cosiddetto Bardo della tradizione tibetana. Ossia, racconta gli eventi molto tempo dopo che sono accaduti, per cui tutto ciò che narra è già passato. Non si esprime ideologicamente su quanto è accaduto (la questione ideologica, a proposito, suole essere un grande ostacolo per qualunque romanzo che voglia andare oltre il proprio tempo) esattamente perché è già molto lontano temporalmente, almeno all’epoca di Simon, il narratore che passeggia per il Bardo».
Ma cinque anni dopo che cosa sta succedendo tra i catalani?
«Mi pare che ci sia una disillusione generale tra gli indipendentisti, posto che si sentono, a ragione, beffati. La loro delusione è conseguenza dell’illusione creata dai tre partiti politici separatisti per racimolare voti. Si disse che l’Unione Europea li avrebbe accolti subito, quando qualsiasi persona onesta sapeva che questo non sarebbe successo nel modo in cui veniva prospettato. Si sottovalutò, e ancora non so perché, la forza di uno Stato come quello spagnolo, che non è precisamente una suora di carità».
C’è molto mistero nella conclusione di «Questa bruma insensata»: anche Simon gioca a nascondino con il lettore? E quanti figli hanno avuto, in definitiva, i genitori Schneider Reus?
«Si può pensare che, passato tanto tempo, Simon, nel Bardo, abbia trovato infine le parole che gli servirebbero per completare quel finale di frase dimenticato e che ha cercato durante tutto il romanzo… E quanto al numero di figli che hanno avuto i genitori Schneider Reus, io direi uno solo: Simon Rainer Schneider Reus».