Corriere della Sera, 23 ottobre 2022
In morte di Dietrich Mateschitz, Mister Red Bull
Gli uomini blu si stringono in cerchio ad Austin. La notizia piomba mezz’ora prima dell’inizio delle qualifiche di F1 negli Usa dove Carlos Sainz porta la Ferrari in pole davanti a Verstappen. È morto Dietrich Mateschitz, Mister Red Bull. L’uomo capace di creare un impero da una lattina energetica. «Era incredibile – lo piange Christian Horner—, rendeva possibile l’impossibile». Aveva 78 anni, da tempo era malato.
Ha lasciato il segno in qualsiasi impresa. Ha cambiato l’industria delle bevande e dello sport con investimenti senza precedenti e forme di sponsorizzazione completamente nuove. Dalla F1, al calcio, allo sci, alla MotoGp, alle discipline estreme, ai tuffi. Figlio di insegnanti, ha fondato un impero da oltre 23 mila dipendenti vendendo più di 10 miliardi di lattine nel mondo soltanto l’anno scorso. La prima è stata commercializzata il 1° aprile del 1987 in Austria, nella sua terra a cui era legatissimo. Veniva da un minuscolo comune della Stiria, Sankt Marein im Mürztal, vicino a dove sorge il circuito di F1 dello Spielberg, che lui ha acquistato per trasformarlo in un gioiello architettonico. In pochissimi avevano il privilegio di chiamarlo con il soprannome, «Didi», fra questi Helmut Marko, amico e braccio destro nelle corse. Sembrava una sfida persa lanciare una bevanda a base di taurina dallo strano sapore, per molti anni è stata molto più nota in discoteche e rave party che nei supermercati. Mateschitz l’aveva scovata in Thailandia, in un bar di Bangkok scoprendo che era efficace per combattere il jet lag.
O almeno questo è uno dei due-tre racconti che circolano su com’è nata la sua fortuna, un patrimonio da oltre 25 miliardi di dollari. Si mette in società con l’inventore, il thailandese Chaleo Yoovidhya (scomparso dieci anni fa) e lancia l’energy drink. Con un’attenzione maniacale per il packaging, per il logo e per l’immagine, quella di due tori (in realtà bufali thai). Per il marketing. Aveva iniziato la carriera occupandosi di dentifrici dopo una laurea presa senza fretta. Propone la Red Bull a bar e ristoranti ma viene respinto, il mondo dei locali notturni però intuisce le potenzialità della bevanda e lì inizia il successo. Stregato dal fascino delle corse nel 2004 rileva la scuderia dalla Jaguar e la rinomina in Red Bull.
Due anni dopo si compra anche la Minardi (ora AlphaTauri) per farne una palestra di futuri campioni. Lì hanno cominciato Vettel e Verstappen. I numeri: 89 vittorie in F1, 79 pole, sei titoli piloti e quattro costruttori. Parlava pochissimo, ai Gp arrivava in jeans e camicie a quadrettoni. Aveva il brevetto e amava volare, nell’hangar 7 di Salisburgo teneva una flotta di aerei d’epoca, fra i quali il DC6-B appartenuto al Maresciallo Tito. Possedeva un’isola alle Fiji, un sottomarino. Lascia un impero, una squadra vincente in F1, scossa dalla bufera sui budget. Mancherà a tutti. «Era un visionario e un imprenditore incredibile, ha trasformato il nostro sport» lo ricorda Stefano Domenicali.