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 2022  ottobre 23 Domenica calendario

Biografia di Mauro Coruzzi (Platinette) raccontata da lui stesso

Buongiorno, dobbiamo chiamarla Platinette o Mauro? «Dipende dalle persone, in nessun caso mi offendo. Quando è più utile arrivare al dunque, al femminile, altre volte come sono all’anagrafe, Mauro Coruzzi. Grazia Di Michele, con cui cantai al Festival di Sanremo, mi chiama Pla». Platinette ha la sensibilità di un’anima ferita, condita con tanta ironia. A volte parla al femminile, altre volte al maschile.
Quante parrucche ha?
«Una ventina, non tutte platinate. La più assurda è bionda ramata con la ricrescita. Un giorno Maurizio Costanzo (ancora ci diamo del lei) con Maria De Filippi mi consigliò di togliermela. Così in un programma tv la deposi su un tavolo accanto a me».
E il guardaroba?
«A metà tra maschile e femminile. Mi vesto a seconda delle necessità professionali. Sono una parodia del divismo femminile».
I suoi fan?
«Non so se li ho, e non mi interessa saperlo, sono molto rissosa e solitaria».
Cominciamo dai suoi primi anni.
«Sono di Parma, ma sono cresciuto in piccole frazioni tra Langhirano, il paese di mia madre, e Felino, dov’era nato mio padre. Langhirano è la capitale del prosciutto, Felino del salame. Si sono incontrati a metà strada. A unirli era la passione per il ballo, la balera».
È vero che il suo padre biologico era un altro?
«Può essere un delirio il mio, mi sono fatto uno strano trip perché mamma col tempo aveva un fidanzato bello, un atleta che poi divenne un industriale. Mio padre dopo la guerra era tornato da un campo di lavoro, era stato internato dai tedeschi. Rientrò in Italia a piedi dalla Germania, ci impiegò quasi due mesi».
Dunque?
«Dunque era un po’ fuori di testa, gli venne un esaurimento forte, fu curato in una clinica che praticava elettroshock e mamma, donna di una vitalità incontrollabile, sensuale, sempre allegra, riallacciò una relazione con quell’uomo atletico. Non ne ho la certezza. Ma a conferma di ciò da bambino ricevevo costantemente delle telefonate da un uomo che simulava di avere sbagliato numero. A rendere credibile questa storia, dopo che mamma morì, ogni sabato sulla tomba le venivano cambiati i fiori da una donna. La donna ha rivelato di essere la sorella di una persona che corrisponde all’amante di mia madre».
Lei a chi somiglia?
«Ah, certamente non a mio padre, non ho alcuna similitudine con lui nei tratti. Io, truccata e vestita, somiglio a mamma che neanche Psycho. Siamo quasi uguali».
Disse in famiglia di essere omosessuale?
«Sono del 1955, cresciuto in piena epoca Dc, e non mi è mai venuto in mente di dire: mamma sono gay. Una volta trovò dei collant nella mia camera, li lavò e li mise nel cassetto insieme ai calzini. Mio padre invece era uno zombie, nel senso buono. Nell’ultima fase della vita si mise a parlare in italiano, disse che mi avrebbe voluto dottore. I miei genitori dopo il boom economico degli Anni 60 si trasferirono in città a Parma, lui divenne muratore e lei operaia nelle conserve di pomodori».
Com’è stata la sua gioventù?
«Andavo a battere sui marciapiedi, battevo per strada lungo i viali, come si dice nelle canzoni. A scuola passavo per essere uno dei due più bravi della classe, e insieme davamo i compiti ma col cavolo gratis, in cambio di prestazioni».
Ha vissuto il bullismo a scuola?
«Nessuna aggressione fisica. L’ho vissuto dopo. Aggressioni verbali a cui ho risposto con non so quale coraggio. A vent’anni ho cominciato a fare spettacoli di cabaret. Andavo a vedere un gruppo di trasformisti. Erano brutti, orrendi. Ma nella loro bruttezza erano geniali. Avevano parrucche sporche e vestiti improbabili, tutto era così esagerato che mi sono illuminato. Lo spettacolo si intitolava “La difficoltà di essere omosessuali in Siberia”. Il giorno dopo averli visti, sono entrato nel gruppo».
Il pubblico?
«Generalmente di sinistra, non gay. Poi ci siamo messi a disposizione dell’Arci, nell’area del partito comunista. Alle Feste dell’Unità ci tiravano addosso le lattine, le cicche accese. Noi eravamo talmente arrabbiate che chiedevamo di andare gratis a lavorare per il Movimento Sociale, volevamo vedere per scherzo la reazione della destra, ma quelli nemmeno ci rispondevano».
Come si chiamava il gruppo?
«Pumitrozzole. Puttane, mignotte, troie e zoccole. Avevamo fatto una sintesi».
A Sanremo diede il bis.
«La prima volta fu in gara con Grazia Di Michele e meno male che eravamo in due, da sola mi avrebbero massacrata, non è il mio mestiere. La seconda ebbi un diverbio con Gianni Morandi. I soliti idioti facevano una gag su una coppia gay. Morandi non sapeva come uscirne, disse che anche lui aveva amici gay. Io, finito il pezzo con i Matia Bazar, esclamai: anch’io ho amici etero. Fu un atto di coraggio e di stupidità».
Che Italia sarà quella di Giorgia Meloni?
«L’ho conosciuta, abbiamo chiacchierato a lungo, mi ha invitato in modo furbo a un convegno di Fratelli d’Italia. È una donna senza pregiudizi, se li ha li camuffa bene, ma non credo che abbia, come dice Morandi, molti amici gay. Avendo avuto la percezione di un suo pensiero diverso, volevo sapere come la pensasse su certi temi. Mi verrebbe voglia di chiederle un ruolo, rappresentando certe idee rispetto all’omosessualità. C’erano la Santanché, La Russa, centinaia di simpatizzanti di destra. Non credo siano tutti patrioti etero. A sinistra non mi hanno mai invitato. Il Pd si è impossessato di certi temi perché nessuno ne parla».
Come vive, oggi, il politically correct?
«È tutto un bacchettonismo ipocrita, una rottura di scatole. Ogni tanto faccio delle osservazioni ma è come se un musulmano criticasse Maometto. Ho contestato l’utero in affitto e apriti cielo. Ma ciascuno potrà dire la sua, potrò decidere cosa pensare, da “finocchia” come mi sento?».
Si può andare contro il mainstream?
«È dura, c’è un adeguamento al pensiero corrente, c’è chi non ammette che tu possa avere un’opinione differente, che tu chieda un confronto. Una mia amica transgender ha sposato un poliziotto, i genitori del marito non sapevano che lei fosse un uomo prima, lei poi si è sposata col fratello di lui».
Dove sta andando a parare?
«Dico che non c’è uno che abbia ragione e uno che abbia torto. Ci sono scelte di vita differenti. E una famiglia arcobaleno che pretende di essere parificata a una famiglia tradizionale, lo deve essere non solo nei privilegi».
È vero che lei a 18 anni ha avuto una storia a tre, con un lui e una lei?
«Mi innamorai del vicino di casa mentre avevo una fidanzatina. Somigliava a Tadzio di Morte a Venezia, biondo, alto, slavato, una bellezza lontana dal mio genere. Una sola notte d’amore e lui mi lascia un biglietto: non sarò mai come te. Nel mezzo la mia ragazza rimane incinta, io padre? E poi eravamo due bambini, l’unica soluzione era l’aborto, che all’epoca era illegale».
Sembra Almodovar…
«Mi piace il suo cinema, ma dipende dai film. Mi piace di più Ozpetek per cui ho recitato in Magnifica presenza. C’era anche Drusilla Foer».
Le piace?
«Insomma, cosa posso dire, è brava ma ricalca uno stereotipo che conosciamo, ha la voce simile a quella che aveva Tina Lattanzi, la doppiatrice di Greta Garbo, ha una sua signorilità, capisco che sia rassicurante per un prodotto televisivo, non so che sviluppo potrà avere».
Lei, come Ozpetek, è amico di Mina.
«Avoglia! Sono pazzo di lei, è una ossessione, abbiamo cose in comune, parliamo del Me Too che, va bene l’appartenenza e le giuste battaglie, ma diventa un’altra forma di separatismo, di ghettizzazione al contrario. Nel 1981 fondai il primo Mina Fan Club. Il destino mi fa capitare con sua figlia Benedetta Mazzini in un programma tv, Rock Café, poi ci viene proposta la commedia musicale Bigodini e scatta l’incontro con sua madre, Mina, che vuole vedere il contratto. Ero terrorizzata, da bambina la vedevo con quelle gambe infinite, le minigonne... Accedo in casa direttamente dall’ascensore e mi fa: ce la fai a passare da lì, cicciona? Io tra me penso: senti chi parla. Era in casa con le ciabatte, i capelli raccolti. Ci consigliò di fare le prove a Bellinzona, nel Cantone Ticino, per avere maggiore protezione, e così lei poteva essere presente. Una volta Paolo Conte voleva scrivere due canzoni, Mina doveva cantare il brano assegnato a Patty Pravo e viceversa, Patty non accettò, se la diede a gambe. Io rimasi esterrefatto. Ma come, una come Mina ti mette sul piedistallo accanto a lei, e rifiuti? Patty è una matta col botto».
Quando è ingrassata così?
«Ho preso 50 chili per un uomo, per conquistarlo, mi voleva così e sono esplosa come una mina. Poi c’è stato un chirurgo di Parma, anche a lui piacciono grassi; gli chiedevo, come ti possono piacere mostri come me? Aveva una doppia vita, io sognavo di andare al cinema con lui, normalmente. Temeva lo scandalo e finì».
Cos’è la trasgressione?
«Non dover a tutti i costi essere conformista. Adoro gli anni della Dc, il compromesso storico, c’erano ministri gay, lo sapevano tutti e vivevano in un limbo».
Cos’è la normalità?
«Non esiste, la vita è una sorpresa continua. Il sesso è più forte del potere. Ti pare normale che un presidente americano 24 anni fa si sia fatto fare quello che si è fatto fare da una stagista alla Casa Bianca?».
L’ultima volta che si è innamorata?
«Una settimana fa, di un uomo non attraente fisicamente, è una cosa di sguardi. Ho il timore di esserci finita dentro fino al collo».