Corriere della Sera, 23 ottobre 2022
Che farà ora Mario Draghi?
«Chiederò a mia moglie». Venerdì pomeriggio Mario Draghi rispondeva così a chi gli chiedeva se ora si sarebbe preso un periodo di vacanze. La risposta è stata in linea con un modus che fa parte dell’abito relazionale del personaggio: interporre uno schermo fra la sua vita pubblica e quella privata, in qualche caso chiamare in aiuto, metaforico, proprio la figura della moglie.
Cosa farà ora Draghi? Glielo hanno chiesto in tanti nelle ultime settimane, e in molti se lo domanderanno al momento del passaggio della campanella con Giorgia Meloni. I suoi ministri come i colleghi dell’Unione europea, il suo amico Macron e il Cancelliere tedesco Scholz, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Tutti hanno domandato e a tutti ha confermato che non va in pensione, gli piace fare il nonno ma anche continuare a lavorare. E dunque la risposta è stata sempre uguale: «Vedremo, ancora non lo so».
L’indecisione però non è figlia di una mancanza di offerta: la sua scrivania, come la mail personale, ha accumulato da luglio in poi, dal momento della crisi, un ragguardevole numero di offerte, proposte, inviti. Internazionali e interni. Professionali e accademici. In campo economico e politico. Ora Draghi diventa, oltre a tutto quello che aveva già fatto, dalla Banca Mondiale alla Bce, anche un ex primo ministro e come tale, se vorrà, avrà occasioni e palcoscenici che potrà selezionare e coltivare. Di sicuro, come ama dire lui stesso, non ha bisogno che sia qualcun altro ad immaginare il suo futuro: «Un lavoro me lo so trovare da solo».
Molto si è scritto su una futura carica internazionale in Europa. È stato proiettato anche alla guida della Nato, fra due anni, e alla guida della istituzioni comunitarie, Commissione o Consiglio, sempre fra due anni, quando si rinnovano le istituzioni e il Parlamento della Ue. Ma chi lavora con lui da tanti anni si sente di escludere tutte e tre le cariche, e non perché non siano alla sua portata, «semplicemente perché non sono adatte ad una storia professionale, sono tutti ruoli in cui il potere è delegato, intermediato, di altissimo profilo ma senza la capacità di un’ultima decisione, che dipende sempre da un livello superiore. Draghi non è abituato a ricevere deleghe, semmai a darle».
Ecco perché il futuro di un uomo che ha alle spalle una carriera eccezionale, accademica, finanziaria, istituzionale, economica, politica, è al momento imprevedibile. Per molti analisti politici il coronamento di una carriera simile resta ancora l’approdo alla prima scrivania del Quirinale, con un timing che non per forza deve coincidere con la fine del settennato attuale. E anche se il tema è una sorta di tabù, per l’inner circle di Draghi, in pochi sono in grado di scommettere sulla debolezza di questo scenario.
A definire il lavoro svolto a Palazzo Chigi ci ha pensato Mattarella, scegliendo tre giorni fa l’aggettivo «eccellente». Ma, raccontano nel suo staff, anche quella cifra di «normalità» e costanza che ha punteggiato la sua presenza a Palazzo Chigi: arrivo alle 8 e 45, pranzo a casa con la moglie, ritorno pomeridiano in ufficio, le luci del suo studio che si spengono ogni sera poco prima delle nove.
E poi quanto ha detto lui stesso, in privato, lodando tutti i dipendenti di Palazzo Chigi: «È stato un onore servire l’Italia e farlo con voi, ogni giorno voi date vita a questa istituzione, fondamentale per la vita della Repubblica, e la vostra dedizione l’ho verificata giorno per giorno, nelle carte che arrivano dalla mattina alla sera tardi. È una cosa che ho imparato al Tesoro negli anni 90, quando certe volte le pratiche andavano in un altro ufficio e non tornavano più: qui non è mai successo, in 20 mesi non ho mai ricevuto una sola lamentela per una pratica bloccata, vi ringrazio anche di questo».