Corriere della Sera, 23 ottobre 2022
Cronaca del giuramento del governo Meloni
Giura per prima, ovviamente, Giorgia Meloni. È lì, al Quirinale, e sente sulla nuca gli sguardi del suo compagno e di sua figlia Ginevra. Ripartirà alla fine con l’auto grigia di Palazzo Chigi, sedendosi al fianco dell’autista, piccolo strappo alle consuetudini. Ha un tailleur scuro, unico vezzo un braccialetto tricolore. Pronuncia la formula di rito senza leggerla, guardando Sergio Mattarella, poi appone la firma. Un tremito forse è troppo, ma quando poggia la penna la mano vibra e tradisce la tensione. Poi eccola accanto al presidente della Repubblica, pronta ad accogliere la processione dei neoministri. Ogni tanto un sorriso, che attraversa tutto il Salone delle Feste, rivolto alla figlia.
Il colore finisce qui, perché mentre i giuramenti si ripetono arrivano le voci di fuori: dall’Europa, dagli Stati Uniti, dal mondo dell’economia, dal neoformato Parlamento. E la premier sa bene che la potenza, quella che le ha dato il risultato elettorale, non è nulla senza il controllo. Tenere tutto in mano è stata la sua preoccupazione principale in questo ultimo mese. I no, anche brutali, che ha detto ai suoi alleati derivano tutti da quella che per lei è una priorità assoluta: non vuole che il suo governo somigli a una gita aziendale, e anche le nuove denominazioni di alcuni ministeri servono sì a dare un’impronta non priva di un sapore rétro, ma soprattutto a prefigurare deleghe che dividano le competenze e non permettano a nessun ministro di giocare per sé. E su Twitter, in mattinata, Meloni scrive: «Ecco la squadra di governo che, con orgoglio e senso di responsabilità, servirà l’Italia. Adesso subito al lavoro».
Giura il nuovo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che sarà anche vicepremier. L’emozione lo porta a ripetere una parola della formula. Giura l’altro vicepremier, Matteo Salvini, che guiderà le Infrastrutture. Inforca gli occhiali e non sfugge la sottolineatura, con il timbro della voce, quando recita «nell’interesse ESCLUSIVO della nazione». Giura il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che nell’attesa usava il cartoncino con la formula come un ventaglio e al quale, unica concessione, Giorgia Meloni rivolge uno sguardo intenerito. E intanto arriva la prima ondata di congratulazioni al nuovo governo, che suona come un’apertura di credito, ma anche come un invito a non indebolire la collocazione internazionale dell’Italia. Joe Biden dice che non vede l’ora di lavorare con Meloni sull’Ucraina e sui diritti, Volodymyr Zelensky attende con impazienza l’avvio di una fruttuosa cooperazione. E Tajani si affretta, come primo atto, a telefonare al ministro degli Esteri ucraino per offrire solidarietà a quel popolo invaso.
Pesano gli inciampi degli ultimi giorni, con le parole di Silvio Berlusconi e le incertezze sulle sanzioni del neopresidente della Camera Lorenzo Fontana, e la premier è intenzionata a impedire che la situazione su quel fronte le sfugga di mano. Tocca a Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, che sa bene come un dicastero così impegnativo gli sia arrivato anche per le difficoltà incontrate nel convincere tecnici di alto livello. Giura Raffaele Fitto, che guiderà gli Affari europei, ma anche il Pnrr e le Politiche di coesione, tanto per bilanciare gli Affari regionali e le autonomie del leghista Roberto Calderoli. E arrivano le parole di Paolo Gentiloni, commissario Ue per l’Economia, che in attesa di vedere il governo alla prova osserva che non gli pare di aver ascoltato dichiarazioni anti europee o euro scettiche. Ma aggiunge che sul Pnrr non bisognerà accumulare ritardi perché, in quel caso, l’Europa non sarebbe benevola. È la volta di Matteo Piantedosi, alla guida dell’Interno ci sarà un tecnico, e di Carlo Nordio, che promette scelte non giustizialiste a via Arenula.
Tra i ministri senza portafoglio c’è Nello Musumeci, di Fratelli d’Italia, che ha la delega per il Sud e le Politiche del mare, che, a proposito di controllo, non toccano il dicastero di Salvini, ma rendono più collegiali alcune competenze. Continua la processione al banco del giuramento e qualcuno già osserva che sì, è vero che l’opposizione è frastornata e divisa, ma Giorgia Meloni ha inserito nel suo governo ben 9 senatori, la cui possibile assenza da Palazzo Madama se dovessero arrivare votazioni critiche potrebbe farsi sentire.
Sobria nel vestiario e negli atteggiamenti Eugenia Roccella, ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari opportunità, dizione che ha già in sé un che di programmatico, e che avrà da affrontare temi tradizionalmente divisivi, con la premier che ha dichiarato di non voler toccare la legge 194 sull’aborto ma che intende valorizzare quelle norme che facilitano la prevenzione. Marina Elvira Calderone, tecnica alla quale è affidato il ministero del Lavoro, dice che vuole aprire al più presto un confronto con le parti sociali. Giura con voce stentorea Gennaro Sangiuliano,anche lui tecnico, che sarà a capo della Cultura, e che si ripromette come atto d’esordio un omaggio a Benedetto Croce. Tocca ancora a un tecnico, Andrea Abodi, con la delega a Sport e giovani, quest’ultima appartenuta in passato a una giovanissima Giorgia Meloni.
Giurano i ministri dell’Istruzione e Merito, Giuseppe Valditara, e dell’Università, Anna Maria Bernini, che accompagna il suo battesimo come ministra con un video sui social, ritirato da Instagram dopo aver scatenato una tempesta di commenti ironici, per le immagini e per le canzoni di Vasco Rossi, Ambra Angiolini e Lucio Battisti. Poi c’è Gilberto Pichetto Fratin, a cui tocca l’Ambiente e la Sicurezza energetica, che promette che seguirà le orme di Roberto Cingolani e Mario Draghi. Giurano ancora Alessandra Locatelli, che si occuperà della Disabilità; Daniela Santanchè, Turismo; Luca Ciriani, Rapporti con il Parlamento; Maria Elisabetta Alberti Casellati, cui toccherà occuparsi della eventuale rivoluzione presidenzialista dalla tolda del ministero delle Riforme. E poi Orazio Schillaci, tecnico, che si occuperà della Salute, con la speranza che il Covid sia agli sgoccioli, e Paolo Zangrillo, alla Pubblica amministrazione. E giura Francesco Lollobrigida, alla guida di un altro ministero dalla denominazione programmatica, quello dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. Per tutto il tempo, nelle brevi pause tra un ministro e l’altro, Giorgia Meloni e Sergio Mattarella si scambiano rapidi commenti, in un’atmosfera che definire complice sarebbe esagerato, ma certo dall’apparenza serena.
Poi tutti insieme per la foto di rito, con la premier che prima fa ciao ciao con la mano a Ginevra. Oggi la cerimonia del passaggio della campanella, poi si comincia.