la Repubblica, 22 ottobre 2022
Biografia di Matteo Piantedosi
Al Viminale lo aspettano a braccia aperte. «Matteo è uno di noi», dicono gli uomini della struttura del ministero dell’interno, quelli – per intenderci – che i ministri cambiano ma loro restano. Matteo, ovviamente, è l’altro Matteo, Piantedosi, il prefetto, che pure a Salvini è legato a doppio filo tanto che sulla poltrona più importante del Viminale, seppur da tecnico, siederà in quota Lega visto che Salvini, non fosse altro che per motivi di opportunità (imputato nel processo Open Arms proprio da ex ministro dell’Interno) ha dovuto rinunciare a «fare quello che so fare bene», per mutuare le parole che ama ripetere spesso.Ma anche Piantedosi il ministro dell’Interno, almeno per come lo intende Salvini, lo sa fare bene. Anche perché, in realtà, lo ha già fatto. Da capo di gabinetto, mentre Salvini passava le sue giornate in giro per l’Italia a collezionare felpe, magliette e cappellini di vari corpi di polizia e vigili del fuoco, era Piantedosi a governare il Viminale cercando di interpretare al meglio la lettera salviniana dei porti chiusi. Anche perché – come non manca di sottolineare Salvini – «i decreti sicurezza li abbiamo scritti insieme».E decisamente insieme – raccontano decine di atti giudiziari – hanno provato ad applicarli con alterne fortune che in 14 mesi, hanno visto per ben tre volte il nome di Salvini (ma anche quello di Piantedosi poi sempre archiviato) iscritto nel registro degli indagati di procure siciliane per i tentativi (per altro mai andati a buon fine) di impedire lo sbarco di migranti salvati in mare: prima il caso Diciotti, poi la Gregoretti, infine la Open Arms. Con Piantedosi, in cabina di regia al Viminale, ad escogitare di volta in volta la strategia più adatta a ritardare gli sbarchi persino dalle navi della guardia costiera italiana come la Diciotti e la Gregoretti: presunti «allarmi generalizzati» sulla presenza di terroristi islamici sui barconi, la teorizzata difesa delle frontiere per giustificare il divieto di ingresso in acque territoriali. Per arrivare persino ad affermare davanti agli sbalorditi giudici del tribunale dei ministri di Catania che lo ascoltavano per il caso Gregoretti che «il ministro dell’Interno non ha nessuna funzione di autorizzare glisbarchi». E Salvini che rivendicava il merito di aver fermato gli sbarchi? Un anno prima, per la Diciotti, Piantedosi aveva dichiarato altro: «La disposizione di non far sbarcare i migranti è stata assunta dal ministro Salvini. Io mi sono preoccupato di concretizzare la volontà politica».Eccolo il nocciolo della questione, la volontà politica. Perché se è vero che Piantedosi ha contribuito a scrivere i decreti sicurezza di marca Salvini è altrettanto vero che è stato sempre lui a scriverne la seconda versione pesantemente riveduta e corretta. «Lo Stato si adegua sempre», spiegò poi quando, dopo essere rimasto per un anno capo di gabinetto della ex collega Luciana Lamorgese, venne da lei nominato prefetto di Roma. Un incarico con un battesimo del fuoco due mesi dopo, con la sottovalutazione della piazza cavalcata da Forza Nuova nel sabato nero dell’assalto alla sede della Cgil.Adesso il Viminale lo gestirà a modo suo, da tecnico estremamente preparato, ma la “fedeltà” che lo lega a Salvini passerà alla prova dell’Aula quando nei prossimi mesi il nuovo ministro dell’Interno sarà chiamato a Palermo a deporre al processo Open Arms con l’ex ministro sul banco degli imputati.