La Stampa, 22 ottobre 2022
Intervista a Donatella Rettore
Lo spiritaccio punk è quello di una volta, la determinazione pure: «Lotto per avere l’eutanasia». La bad girl della musica italiana che provocava il pubblico con le sue Lamette e il suo Kobra che «non è un serpente» - anche se oggi dice «non mi rendevo conto che fosse così allusivo» -, fa i conti con 40 anni di carriera e 67 di vita nell’autobiografia Dadauffa (Rizzoli). Donatella Rettore era talmente combattiva che in una sua canzone litigò persino col suo nome - «Non capisco perché tutti quanti continuano stramaledettamente a chiamarmi Donatella», e così via imprecando, fino a mandarla a impiccarsi su un bidet, ma il gusto di spiazzare era enorme e lei ci si divertiva un mondo.
Perché ha pensato di mettere dei punti fermi con la sua autobiografia?
«Non mi sono mai esaltata nella mia vita di cantautrice, era il momento di farlo e di mettere nero su bianco il fatto che scrivo da sempre, anche se nessuno se lo ricorda e io passo per la pazza, la fulminata, ma il pacchetto è completo, e nel pacchetto c’è l’autrice. Ci sono io come donna e come essere umano, e c’è l’origine della mia eccentricità».
Perché, da dove nasce la sua eccentricità?
«Dalla mia infanzia, dal Carnevale, dai miei genitori che erano molto divertenti, mio padre con la testa fra le nuvole e sempre con un libro in mano e mia madre, attrice dialettale goldoniana, che mi portava alle mostre. A 3 anni, in piazza San Marco, scappai da lei e andai sul palco di un’orchestra a cantare, era il giorno del mio compleanno».
Cosa avvenne con il punk?
«Io sono cambiata profondamente con il punk, il 1977 è un anno molto importante per me: uscì il mio primo album vero, Donatella rettore, che ora riesce in vinile, così come il disco Kamikaze Rock&roll Suicide. Guardavo a band come Siouxsie and the Banshees, che suonavano davvero, mentre i Sex Pistols facevano soprattutto casino. Il punk ha alimentato il mio istinto provocatorio, scandalizzare i discografici mi divertiva».
Non solo i discografici, il Kobra faceva un certo effetto anche al pubblico…
«Non mi rendevo conto che la canzone fosse così allusiva, per me era naturale, io non ci vedevo niente di ammiccante».
C’era chi la attaccava, ma ha avuto anche difensori illustri.
«Natalia Aspesi mi ha sdoganato: conduceva un programma suo su Rai 3 e nell’82 mi intervistò. Io ero punkissima e lei lungimirante, mi disse: "Non pensavo che oltre a essere così divertente fossi anche così intelligente". Umberto Eco invece disse che il mio unico difetto era di essere nata in Italia, dovendo avere a che fare col perbenismo e il bigottismo italico».
Negli Anni 80 si parlava di una rivalità fra lei e la Bertè, cosa c’era di vero?
«Una volta mi telefonò un giornalista e mi disse: perché non ci inventiamo una rivalità fra te e Loredana? A me sembrava una cosa stupida, io andavo ai suoi concerti e lei ai miei, ma qualcuno ci ha creduto… In questo film che è la vita, se non hai un antagonista decade l’attenzione, anche se poi non c’è livore».
Magari ne avrete scherzato insieme, con la Bertè.
«E invece no, penso che abbia piacere a tenere viva la rivalità… Me ne farò una ragione».
Come vive la situazione politica attuale?
«Sono sempre stata di estrema sinistra e mi trovo a rimpiangere la Democrazia cristiana. Ho avuto dei problemi ad andare a votare. In passato sono andata per Bonino e per Pannella».
Che effetto le fa la vittoria di Giorgia Meloni? Un rischio fascismo esiste davvero?
«Non lo so, bisogna vedere come si comporta al governo. È vero che la destra è aggressiva, ma la sinistra non c’è più… Quanto alla Meloni mi auguro che, essendo femmina - l’ha ripetuto più volte, sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana - sia attenta ai bisogni delle donne, a cominciare dalle violenze».
Oggi c’è una guerra in corso, cosa ne pensa?
«Mio padre è tornato dai campi di Buchenwald e Mauthausen che pesava trenta chili, era scappato con un gruppetto di internati. Vennero i partigiani a chiedergli di combattere e lui disse che mai avrebbe ripreso un’arma per uccidere qualcuno. Trovo che ci sia scarsa mobilitazione per la pace».
Per che cosa vale la pena combattere?
«Lotto per l’eutanasia. Mia mamma è stata per otto anni su una sedia a rotelle, nei momenti in cui si sentiva meglio mi chiedeva due cose: dammi una sigaretta e fammi morire»