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 2022  ottobre 21 Venerdì calendario

Orsi & Tori

Che cosa Mario Draghi potrebbe fare ancora di utile per l’Italia?


Da quando mise un piede su uno scoglio di Portorotondo, facendo diventare rosso il mare per il profondo taglio procuratosi, Draghi ha avuto un crescendo straordinario di responsabilità. La sera del taglio sotto il piede arrivò comunque a villa Certosa, a cena con l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, a cui lo aveva segnalato Cesare Geronzi per la poltrona di governatore della Banca d’Italia. Dalla Banca d’Italia alla Bce, sconfiggendo la linea assurdamente rigorista della Germania, insensibile alla grave crisi che attanagliava l’Europa. Sette anni di successi a Francoforte segnati da una frase che è rimasta storica come «Whatever it takes», rivoluzionando la politica della Bce e mettendo in un angolo il potentissimo presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Sempre in stretto






collegamento con gli Stati Uniti.


E finalmente al vertice più alto dell’esecutivo italiano, riuscendo ad avere per almeno 15 dei 20 mesi di governo il consenso pieno di tutti i partiti, con la sola eccezione dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, gli unici all’opposizione, e con l’eccezione di alcune ostilità fino alla rottura della maggioranza da parte dei 5Stelle.


Per questo, nell’ultima riunione a Palazzo Chigi, mercoledì 19, Draghi era raggiante, evidentemente soddisfatto del lavoro fatto, fino a ringraziare con slancio i giornalisti per le numerosissime domande rivoltagli e a far vedere a tutti la cura con cui riponeva nella borsa le due foto di tutti gli staff del suo vertice.


C’è qualcuno che pensa che Draghi si ritirerà a vita privata? A desiderarlo, il ritiro, è solo sua moglie, come confessò apertamente al proprietario del bar pasticceria di fronte alla loro casa di campagna in Umbria. Con ardire forse qualcosa di più, il barista gli chiese: Ma il presidente andrà al Quirinale? La risposta riferita fu netta: Purtroppo sì, ci andrà.




Tutti quanti sanno che non è andata così, nonostante i numerosi supporter che Draghi aveva per salire al Quirinale. Sarebbe stato un cursus honorum troppo perfetto e il diavolo ci ha messo la coda, costringendo il presidente Sergio Mattarella a disdire il contratto di affitto che aveva già stipulato per un appartamento romano.


È ardito pensare che Mattarella, sapendo che la Costituzione non prevede niente rispetto al secondo mandato ma anche neppure alle dimissioni prima della fine dei sette anni (come del resto è avvenuto con Giorgio Napolitano) non accarezzi l’idea di cedere la poltrona proprio a Draghi? Non è ardito e anzi è un po’ più che possibile che il cambio possa avvenire, nonostante il rigore e il senso del rispetto della Costituzione che anima Mattarella come professore proprio di diritto costituzionale. Certamente la presidente Meloni potrebbe essere un supporter di Draghi e quindi se non alla prima votazione, in caso di dimissioni di Mattarella, Draghi potrebbe diventare presidente della Repubblica. Chi potrebbe votare contro? Probabilmente solo i 5Stelle guidati da Giuseppe Conte. Tutti gli altri sanno che l’esperienza e il prestigio di Draghi sarebbero di grande aiuto all’Italia.




Non credo invece che gli si addica né che lo attragga il ruolo di segretario generale della Nato, a cui è stato scritto che vorrebbe candidarlo Emanuel Macron, essendo vicino alla fine il mandato del Segretario in carica. Certamente gli Usa, con al potere il democratico Joe Biden, ne sarebbero favorevoli, considerando la formazione culturale americana di Draghi, atlantista trasparente, nutritosi molto dello spirito americano negli anni di studio al Mit con il Nobel Franco Modigliani.


Tuttavia, per quanto lo conosco, non sono convinto che quella posizione sia in cima ai suoi desideri, essendo un combattente in economia ma non esperto di strategia militare, anche se il ruolo ha un forte coté di strategia politica. In più, non sarebbe certo l’incarico più utile per l’Italia e l’Europa.


In realtà la posizione di presidente del Consiglio europeo potrebbe essere più adatta, ma il secondo biennio di Charles Michel scadrà fra un anno e mezzo e avere Draghi, per così dire, disoccupato per un anno e mezzo sarebbe uno spreco, moglie permettendo. E comunque non è un ruolo dal quale Draghi potrebbe dare all’Europa tutto quanto è il suo potenziale. L’altro incarico possibile a Bruxelles, quello di presidente della Commissione Ue, ha una scadenza ancora più lunga. Addirittura, il 31 ottobre del 2024.




C’è chi pensa che Draghi possa tornare a operare nel settore bancario privato, come fece come vicepresidente esecutivo di Goldman Sachs, una volta lasciata la posizione di direttore generale del tesoro. Personalmente non ci credo. Quell’incarico in una delle prime banche d’affari del mondo aveva senso ed era conseguenziale all’esperienza fatta con la guida delle privatizzazioni in Italia. Un’opportunità anche per comporre un patrimonio (messo subito in blind trust) sufficiente a una vita più che agiata anche per la sua famiglia, verso la quale, a parte la uscita allo scoperto della moglie con il barista umbro, Draghi ha sempre tenuto nella massima riservatezza.


A 75 anni potrebbe anche seguire il desiderio della moglie e fare solo il marito e il nonno, ma sarebbe una grave perdita per l’Italia. E non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa e il mondo occidentale.




A vederlo sorridente e dinamico, come lo si è visto nelle riprese nelle foto dell’ultima riunione a Palazzo Chigi, appare in perfetta forma e non si può dimenticare la sua frase detta in una conferenza stampa, visto che non ha mai rilasciato se non una volta una intervista a un singolo giornale: «Sono un nonno al servizio delle istituzioni». E le istituzioni italiane ed europee hanno sicuramente bisogno di Draghi.


Non credo passerà molto tempo dalla sua uscita da Palazzo Chigi prima che si sappia a quale istituzione (magari e auspicabilmente, se il presidente Mattarella deciderà di seguire il precedente di Napolitano, proprio la massima italiana). Del resto, anche dal Colle del Quirinale Draghi potrà continuare a fare il nonno. Un nonno molto stimato da tutti gli Italiani. Auguri Professore.


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Per quanto riguarda l’eredità economica che Draghi lascia al paese, ci ha pensato il ministro dell’economia Daniele Franco a dare numeri e spiegazioni non solo pubblicamente nell’intervista al Corriere della Sera. I numeri cruciali sono quelli del denominatore, nel rapporto debito/pil. La riduzione del debito rispetto al pil è stata alla fine del 2021 sul 2020 dal 154,8% al 150,3%. Quindi una riduzione del 4,5% grazie alla crescita di ben il 6,7%. Ciò delinea in maniera ancora più chiara che la vocazione e la strategia di Draghi e del suo ministro è stata quella dello sviluppo per poter rendere il debito meno pericoloso. Ma non tutti gli anni possono essere come il ’21 rispetto al ’20, quando la crescita è stata anche effetto del rimbalzo post Covid.


Se si entra nei dettagli, si scopre che il contributo maggiore lo ha dato l’export, che non a caso ancora nel primo trimestre 2022, nonostante la guerra e le code della pandemia, è cresciuto di ben il 12% rispetto allo stesso periodo del 2021.




E che cos’è che fa salire il pil e in particolare l’export? Il dinamismo delle aziende italiane, se hanno la possibilità di investire come è stato possibile anche grazie al Pnrr. Gli investimenti, naturalmente non solo per il Pnrr, sono saliti nell’anno scorso di ben il 16,5% e la crescita è proseguita, anche se meno clamorosa, nel secondo trimestre di quest’anno, dell’11% rispetto allo stesso periodo del 21.


Ma una osservazione fondamentale è deducibile dal dato generale degli investimenti rispetto al pil. Ha spiegato il ministro Franco, ex-ragioniere generale dello stato ed ex direttore generale della Banca d’Italia, che il rapporto era sceso addirittura al 17% nel 2016, mentre ora è risalito al 21%, ancora sotto rispetto alla media europea.


È bello vedere che l’ex-principale burocrate italiano come ragioniere generale dello stato, non si sia dimenticato neppure per un momento di essere parte della banca centrale e che con questa cultura punti diritto allo sviluppo. E auspicabile che anche chi prenderà il suo posto, Giancarlo Giorgetti, che il ministro Franco ha giudicato perfettamente abile al ruolo avendolo conosciuto in profondità, abbia come stella polare appunto lo sviluppo. E che la stessa stella polare la abbia il capo del governo, cioè Giorgia Meloni.




Con un’avvertenza: lo sviluppo è più facile quando si esce da una crisi come è stata la pandemia ed è molto più rischioso invece oggi che la crisi è provocata da fattori fondamentali come una guerra, le sanzioni e la crisi energetica, accompagnati da una inflazione che non si conosceva da molti anni e da una piega delle banche centrali verso il rialzo dei tassi e quindi del ritorno a un’attenzione particolare verso il debito italiano, che è il più alto d’Europa in rapporto al pil dopo quello greco.


Con alle porte una recessione che, anche se temporanea di mesi e non di anni, viene vista con certezza da tutti gli istituti di ricerca e di analisi, non è facile puntare tutto sullo sviluppo che è antitetico alla recessione. In più ci sono i sovraccosti per lo stato che vuole salvare le famiglie più povere ma anche le aziende produttive senza le quali non può esserci sviluppo.




Ritorna quindi in primo piano la ricetta che sola può calmierare l’attacco all’Italia da parte della speculazione. Il primo segnale lo ha dato la Banca d’Italia indicando che gli investitori esteri hanno ridotto di 100 miliardi l’investimento in titoli di stato italiani. E la ricetta è una sola: certo puntare sullo sviluppo ma anche tagliare il debito con la cessione agli italiani, che sono i secondi risparmiatori al mondo, di parte del patrimonio inutilizzato e comunque non messo a frutto che lo stato ha girato agli enti locali.


Lo so che questo può essere un ritornello noioso per chi legge queste colonne, ma sono obbligato a ripetere la domanda: che cosa fa un’azienda super indebitata ma con patrimonio significativo? Vende una parte del patrimonio per tagliare il debito. Nel caso specifico c’è un banchiere, il primo banchiere italiano, il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina che anche poche settimane fa ha confermato la disponibilità a creare fondi immobiliari locali a cui gli enti pubblici conferiscano parte del patrimonio, in massima parte inutilizzato e in pericoloso degrado, che lo stato ha girato loro. La proposta di Messina è valida in assoluto, non tanto perché coincide con l’idea di Italia Oggi da anni, ma perché è accompagnata dall’idea di fondi locali, cioè fondi che nel momento in cui ricevono immobili dall’ente che li possiede possono offrire a investitori locali la possibilità di vederne la valorizzazione: che siano caserme abbandonate, che siano palazzi in disuso e in degrado, che siano terreni da sfruttare. E la forza di Intesa Sanpaolo, senza escludere eventualmente altre banche. è straordinaria nella possibilità di collocare le quote del fondo a clienti risparmiatori locali, impedendo anche così che il risparmio vada all’estero, dove va già il 75% del totale. Saranno 200, saranno 400 miliardi di raccolta per gli enti locali che passano gli immobili ai fondi, conservandone magari una quota? Sta di fatto che riceveranno cash per tagliare il debito, visto che gli enti locali concorrono al debito pubblico italiano per oltre 500 miliardi. Il segnale sarebbe straordinario per il periodo congiunturale in cui non sarà possibile ripetere lo sviluppo registratosi durante i 20 mesi di governo Draghi.


E poi c’è l’obiettivo ancora più importante, da mettere in campo immediatamente, di una politica che faccia rientrare gli impieghi esteri del risparmio italiano, offrendo un trattamento fiscale agevolante per chi lo indirizza nell’economia reale, nelle aziende. E per far questo occorre che l’agevolazione fiscale sia concessa anche alle imprese che decidono di quotarsi in borsa, alimentando finalmente un mercato dei capitali che in Italia non è mai veramente esistito. Basta un dato solo: all’Euronext growth di Parigi sono quotate oltre 286 aziende; a quello di Milano 170. E le pmi italiane sono straordinariamente di più e straordinariamente più vitali di quelle francesi.


Onorevole Giorgetti, con i suoi studi alla Bocconi, che cosa ne pensa di questo inevitabile programma?