il Giornale, 21 ottobre 2022
Per salvare Mps lo stato strapaga i banchieri
La recente storia del Monte dei Paschi è da brividi, dalla spericolata acquisizione dell’Antonveneta alla tragica morte di David Rossi, dal siluramento del suo penultimo amministratore via comunicato stampa al valore zero che si trovano in mano i piccoli azionisti. Ma c’è sempre qualcuno che ci guadagna.
La cronaca di queste ore è un unicum della finanza italiana, ma probabilmente internazionale. Dovete sapere che il Tesoro (che ha circa il 62 per cento del Monte) ha con tutte le forze sponsorizzato l’ennesimo aumento di capitale e lo sta realizzando nel momento peggiore immaginabile. Si tratta di 2,5 miliardi di nuove risorse da mettere in una banca. E per farlo ha chiamato otto banche che gli garantiscono il buon esito dell’operazione. A questi signori il Tesoro staccherà un assegno per commissioni pari a 125 milioni. Avete capito bene. Ma le cose stanno anche peggio di così.
Il Tesoro si è già impegnato a sottoscrivere il 62 per cento di questo aumento di capitale: circa 1,65 miliardi. Mancano 850 milioni. Che si dovranno cercare sul mercato. Di questi, una buona parte e pari a 450 milioni dovrebbero essere già garantiti da una serie di investitori internazionali (il più importante è l’assicurazione Axa che vende le sue polizze tramite gli sportelli senesi). In buona sintesi le otto banche (Mediobanca, l’unica italiana, e poi Bank of America, Jp Morgan, Credit Suisse, Banco Santander, Barclays Bank, Société Général e Stifel Europe Bank AG) corrono il rischio (elevato per la verità) di dover garantire che vengano piazzati tra i 400 e i 500 milioni in azioni Mps sul mercato. Per essere ingenerosi, e non lo siamo così tanto, le otto banche a vario titolo nel consorzio si beccano una commissione di 125 milioni per 400500 che ballano. Ad essere meno pessimisti, diciamo che i 125 milioni di commissioni sono tutti e gli 800 milioni che servono: anche se abbiamo detto che una grande fetta è stata già piazzata ad investitori istituzionali. Anche prendendo questo secondo benevolo scenario, si tratta di una fee che non si è mai vista. In sintesi le otto banche si portano a casa un euro ogni 45 che piazzano, è una roba mai vista.
È evidente che cosa è successo. Il consorzio di collocamento avrà fatto qualche sondaggio per vedere se c’era richiesta della carta Mps. I risultati devono essere stati disastrosi. E dunque c’erano due strade: sfilarsi dall’operazione o pretendere che il Tesoro, cioè noi contribuenti, ci prendessimo il rischio per loro. Se questi 400500 milioni non li volesse nessuno, se li dovrebbero ciucciare le banche del collocamento. E dunque più che commissioni, i 125 milioni garantiti dal Tesoro sembrano un risarcimento della possibile perdita che le banche realizzerebbero se dovessero tenersi nei loro bilanci i titoli Mps non collocati. Beh, fare affari così è un bell’andare.
Pessimo però per i contribuenti italiani. Che in quattordici anni hanno fatto sei aumenti di capitale, per un totale di 25 miliardi bruciati a Siena. Peggio di Alitalia. Ma come in quest’ultimo caso, il Tesoro non ha voluto vedere la realtà. Forse era meglio accettare le proposte di Bipiemme e Bipierre di vendere loro gli sportelli (con la possibile aggiunta del Mediocradito per le filiali del centro). E il Tesoro invece di avere in mano un pugno di mosche e pagare commissioni favolose alle banche internazionali, oggi sarebbe azionista di banche sane e regionali.