Corriere della Sera, 22 ottobre 2022
I nuovi nomi dei ministeri
Nomina sunt consequentia rerum, i nomi sono conseguenti alle cose, voleva Giustiniano e scriveva Dante. Tranne che in politica, dove di solito si pretende che siano le cose a venire di conseguenza ai nomi. Di qui la fregola di cambiarli. Dalla toponomastica cittadina, per la quale all’alternarsi delle amministrazioni comunali si accendono furiose guerre culturali, e una via Bettino Craxi o una piazza Italo Balbo sono chiamate a rispolverare identità ammuffite. Fino ai nomi dei partiti, continuamente mutati per alludere a cambiamenti solo mimati, con il Nord che entra ed esce dalla denominazione ufficiale della Lega, la sinistra che cade dal Partito democratico e il Popolo della libertà buttato in un cassonetto della storia come un abito sdrucito. Da un certo punto in poi perfino ai decreti legge hanno cominciato a dare un nome: Dignità, Sicurezza, Ristori.
Così tra le molte novità, alcune effettivamente storiche, del governo Meloni I, ecco un massiccio ricorso all’innovazione nei titoli dei ministeri: un modo a costo zero per parlare all’elettorato prima di fare (o di poter fare) ciò che gli è stato promesso. E anche di dimostrare che, nonostante la moderazione nei conti e in Europa che la realtà delle cose imporrà perfino a Giorgia Meloni, questo resta fieramente un governo «di destra», capace dunque di usare le parole chiave della destra.
I risultati sono però diseguali. Per la Famiglia, per esempio, l’aggiunta di quella parolina «Natalità» ha un potente significato valoriale, perché propone il tema del sostegno pubblico alle scelte procreative delle famiglie. Nonostante sia ormai una prassi in molti grandi Paesi europei, resta una questione scabrosa nel nostro, dove a sinistra spesso la si presenta come una riproposizione dell’antico motto sui «figli alla patria». Farà scalpore e solleverà strali, sopratutto da parte di chi finora ha preferito puntare sulle «Pari opportunità» (che però la prima donna presidente del Consiglio ha prudentemente lasciato nel titolo). È la scelta dunque più coraggiosa, sopratutto perché affidata a Eugenia Roccella, una che farà di tutto perché la Natalità non resti solo un nome. Anche Sicurezza energetica ci sta bene, a fianco dell’Ambiente: ci stiamo accorgendo sulla nostra pelle che le guerre di questa epoca si combattono anche col gas e il petrolio, e una nazione (con la destra al governo ora si dice così, non più Paese) dipendente per l’approvvigionamento energetico è meno sicura e meno sovrana. Pleonastica invece pare l’aggiunta del Merito accanto all’Istruzione: dovrebbe già comprenderlo, perché è scritto nella Costituzione. E del resto la scuola risponde anche al Bisogno: deve certamente premiare i meritevoli, ma senza abbandonare chi non ha i mezzi per farcela.
Decisamente enfatico è invece l’effetto che fa il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. Va bene che l’uomo è ciò che mangia, ma se c’è qualcosa che scavalca le frontiere nei mercati globalizzati quello è il cibo. A meno di non voler boicottare mango e papaya, effettivamente poco sovranisti, anzi pericolosamente multiculturali, o pretendere di esportare all’estero il nostro made in Italy mentre in patria mangiamo autarchicamente solo pasta e pomodoro, forse sarebbe stato meglio lasciare la sovranità per altri e più meritevoli obiettivi. Un caso di comicità involontaria è invece il nome del ministero del Mare e del Sud, dove mancano solo il Sole, il Mandolino e il Putipù per completare un antico stereotipo sul Mezzogiorno d’Italia; che – come siamo certi il neo ministro Musumeci sa – comprende anche vaste e neglette aree interne e appenniniche, dove si lavora e si produce pure nei giorni uggiosi.