Corriere della Sera, 22 ottobre 2022
Biografia di Giorgia Meloni
Lao Tse, filosofo cinese del IV secolo e fondatore del Taoismo, sfornò alla fine una frase che regge ancora oggi: «Ogni lungo viaggio comincia con un primo passo». Non è chiaro, nel caso di Giorgia Meloni, che si appresta a varare il primo governo guidato da una donna della storia repubblicana, se il primo passo sia quello che l’ha portata, senza i favori del pronostico, a fondare Fratelli d’Italia. O se è invece quello che deve ancora compiere, passando dalla vittoria elettorale alla prova dei fatti che ora la attende.
La presidente incaricata nasce a Roma il 15 gennaio del 1977 sotto il segno del Capricorno e di anni ne ha 45. L’infanzia e l’adolescenza alla Garbatella, il padre che l’ha abbandonata quando aveva un anno, la complicità con la sorella Arianna, la simbiosi con la madre Anna, gli esordi in politica da ragazzina con il Fronte della gioventù, la convivenza con il compagno Andrea Giambruno e la nascita della figlia Ginevra, sono stati raccontati e riraccontati, in questi mesi che l’hanno portata dall’essere il vaso di coccio dell’alleanza di centrodestra fino a conquistare prima la leadership del suo schieramento e poi il diritto di guidare l’Italia da Palazzo Chigi.
La svoltaMa la svolta nella sua lunga marcia politica ha una data: il 20 dicembre del 2012, quando di anni ne ha 35 e decide di mettersi in proprio. Non è passato molto tempo da quando Silvio Berlusconi la chiamava in prima fila dal palco del congresso del Pdl, dicendo: «Dov’è la piccola?», ingenerando in lei il sospetto che non ricordasse il suo nome. Ma poco dopo succede una cosa che, a suo dire, ancora la offende. Il capo storico e indiscusso del centrodestra si diverte a far credere, a lei e a tanti altri, che è il momento di fare le primarie per decidere chi guiderà la coalizione. Quando scopre che non è vero Meloni decide che basta, che è ora di andarsene, e va a dirglielo di persona. La reazione di Berlusconi è un misto di freddezza e di pragmatismo: «Va bene, ho capito. Dimmi che cosa vuoi». Lei risponde fondando il nuovo partito, cinque giorni prima di Natale, in compagnia di Guido Crosetto, che la prese in braccio sul palco imitando Roberto Benigni con Enrico Berlinguer, e di Ignazio La Russa.
L’esordio flopLe incertezze, i dubbi e le paure per il futuro, nella neonata formazione, erano tante, e lei per fugarle prese in prestito una frase di Clint Eastwood: «Se vuoi la garanzia comprati un tostapane». Ma la partenza fu comunque da brividi. Alla prova del voto del 2013 il risultato fu quasi da ultimo banco: 1,96 per cento. Roba da chiudere baracca e burattini, non fosse stato per un cavillo infilato nella legge elettorale di allora, ribattezzata «Porcellum» dal suo stesso ideatore, il leghista Roberto Calderoli. Un previdente Ignazio La Russa aveva fatto inserire la clausola del ripescaggio del miglior perdente, quanto bastò per portare a casa zero senatori e nove deputati: appena sopra l’asticella della sopravvivenza. C’era ancora tutto il tempo, da parte di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, per soffocare quel partitello nella culla. Ma la fortuna di Giorgia Meloni fu che continuavano a sottovalutarla. Il leader leghista si accontentava, nella marcia trionfale di allora, di soffiarle gli slogan che inventava (uno per tutti: prima gli italiani), mentre il fondatore di Forza Italia aveva cose più rilevanti di cui occuparsi. Il resto è cronaca: un passo falso alle elezioni Europe del 2014, con il 3,7 per cento, senza quindi riuscire a superare la soglia del 4 per cento. Il terzo posto nella corsa a sindaco di Roma nel 2016. Il 4,3 per cento alle politiche del 2018 e poi il 6,4 per cento alle Europee del 2019, fino all’elezione a presidente del gruppo dei Conservatori e riformisti.
Gli alleatiMa è già nella campagna elettorale del 2018 che le differenze politiche con i due ingombranti alleati, soprattutto con Matteo Salvini, cominciano a farsi più marcate e concorrenziali. Meloni aveva provato, senza risultati, a stringere il leader leghista nella promessa che l’unica prospettiva doveva essere per tutti l’alleanza di centrodestra. Nulla da fare. E infatti nacque il primo governo Conte, con lo stesso Salvini e Luigi Di Maio sulla tolda di comando. Poi l’impazzimento del Papeete e poi il nuovo governo Conte, stavolta centrato sull’asse tra Cinque stelle e Pd, con il sostegno ondeggiante di Matteo Renzi. E infine l’unità nazionale, con Lega e Forza Italia che partecipano al governo di Mario Draghi e con Fratelli d’Italia a fare l’opposizione. «Sta propinando ai suoi alleati la stessa cura che fece con noi socialisti il Pci – racconterà Rino Formica —. Noi governavamo e loro aumentavano i voti». Ma è un fatto, comunque, che la politica senza compromessi, quella del «sì sì, no no» risulta vincente, anche se si avvale delle mani libere, cioè la possibilità finora di sparare sul quartier generale senza assumersi responsabilità.
Ora però si avvicina l’ora del governo, con Berlusconi e Salvini che, neanche con lei che è salita a parlare dalla tribunetta del Quirinale, sono riusciti a risparmiarsi ammiccamenti e sorrisini. Per ora, di base, ci sono solo i pochi elementi del programma elettorale: soldi per le famiglie e per ogni nuova nascita, politiche di prevenzione sull’interruzione volontaria di gravidanza prevista dalla legge 194. Un patto fiscale per aiutare le famiglie e le partite Iva, flat tax sull’incremento di reddito, eliminazione progressiva dell’Irap.
Politiche economicheBasta con i Bonus, lotta all’evasione fiscale. Rimodulare il Pnrr sulla crisi energetica, una piattaforma online per promuovere il made in Italy. Per i giovani, più assumi e meno tasse paghi. Promozione di stili di vita sani per contrastare il disagio e le devianze giovanili, come droga, alcolismo, gioco d’azzardo patologico, bullismo e baby gang. Ridurre le pensioni d’oro e alzare quelle minime, abbattere i tempi delle liste d’attesa nella sanità. Tetto al prezzo del gas, sì ai rigassificatori e alle trivelle, spingere la ricerca sul nucleare. Controllo delle frontiere e stop agli sbarchi clandestini. Riforma dello Stato con il presidenzialismo, politica estera incentrata sull’interesse nazionale e la difesa della patria, sostegno all’Ucraina contro l’invasione russa. Proprio quest’ultimo, fondamentale punto, che decide delle alleanze internazionali dell’Italia, ha mostrato delle crepe. Con Giorgia Meloni determinata nel sostegno all’Europa, alla Nato e a Zelensky, e con le ambiguità di Berlusconi e le parole del neopresidente della Camera, Lorenzo Fontana, che hanno fatto ribalenare le incertezze della Lega sulle sanzioni alla Russia.
L’asse europeo a destraMa anche la vicinanza di Fratelli d’Italia a Victor Orbán e agli spagnoli di Vox, insieme a una marcia, che è stata avviata ma deve consolidarsi, sulla condanna del fascismo, possono costituire zavorra. Nel suo nuovo ruolo dovrà tenere la barra, almeno con la stessa forza che ha trovato per mettere sul piatto di Berlusconi l’indigeribile: che un’epoca si è chiusa, che la leader è lei, che non è ricattabile e che non userà il governo per risolvere problemi di famiglia, a cominciare da un ministero di peso per Licia Ronzulli.
Ora per la presidente Giorgia Meloni c’è il battesimo del fuoco: la credibilità della compagine ministeriale, il giuramento, la fiducia delle Camere e poi via, con i tanti problemi che attendono risposte, primi fra tutti la crisi economica e la politica estera. Insomma, è il momento di governare, perché, tanto per scomodare ancora Lao Tse, «un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa».