Corriere della Sera, 22 ottobre 2022
Il primo governo italiano guidato da una donna
Tutto comincia, anzi: ricomincia, da «la sottoscritta». È da poco passato mezzogiorno, ieri, 21 ottobre 2022, quando Giorgia Meloni prende la parola e annuncia: «La delegazione del centrodestra, che non a caso si è presentata insieme alle consultazioni, ha dato indicazione unanime proponendo la sottoscritta».
P oche ore dopo, nel pomeriggio, il segretario generale del Quirinale cita l’articolo 92 della Costituzione e conferma: «La presidente del Consiglio dei ministri renderà ora nota la composizione del suo governo».
E così un confine, il confine, è tracciato. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, una donna sarà alla guida del potere esecutivo. Dal 1946 a ieri, si erano susseguiti 67 governi presieduti da uomini. Da 30 uomini, perché raddoppiare è stata quasi la regola (fino al Conte I e II) con alcuni record (8 De Gasperi, 7 Andreotti, 6 Fanfani, 5 Rumor e Moro, 4 Berlusconi).
«Io sono Giorgia», titolo di un libro bestseller e prima di un tormentone (che continuava «sono una donna, sono una madre, sono cristiana»), è arrivata fino in fondo. «La ragazza», come tra i suoi stessi alleati è stata a lungo chiamata forse per esorcizzarne il carisma (anche Helmut Kohl si riferiva ad Angela Merkel dicendo das Maedchen ), si è prima imposta a un mondo di tradizione maschile e maschilista. Poi ha vinto le elezioni sestuplicando i consensi di Fratelli d’Italia, partito che aveva contribuito a fondare contrastando i titubanti («Se volete la garanzia, compratevi un tostapane», disse nel 2012 citando Clint Eastwood). Infine, in meno di un mese, ha cementato la propria leadership nel centrodestra, duellando a turno con i suoi due partner minori, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, maschi alfa per autocertificazione.
L’affermazione di Meloni – a 45 anni, forte di una passione politica trentennale – apre a molte riflessioni. Proviamo a porci tre domande sul senso, per tutte e tutti, di questo passaggio (senza entrare qui nel merito della lista di ministri/ministre e in attesa di giudicare questo governo, come ogni governo, dai fatti).
La prima. Avere una presidente del Consiglio è di per sé un’apertura di spazi di riconoscimento al femminile? Aiuterà a scuotere la cultura dominante in un Paese, il nostro, dove neppure una donna su due ha un lavoro retribuito e dove i pregiudizi inconsapevoli – i più insidiosi perché sempre sfuggenti – tengono in ostaggio i destini delle ragazze?
Se è vero che noi sogniamo quello che vediamo, la risposta è «sì». Da questo mite autunno 2022 le donne italiane, più o meno giovani, potranno sentirsi incoraggiate ad aspirare al comando. Al «potere», parola che – più generazioni di femminismo dopo – sembra farci ancora paura, se non orrore.
La seconda domanda. Perché è stato uno schieramento di centrodestra a consegnarci questo cambio di passo? Perché non la sinistra, che riempie i programmi di sincere aspirazioni all’equità?
Una risposta critica a questo doppio interrogativo la formulò Hillary Clinton in un’intervista al Corriere : se guardiamo a varie leader di destra nel mondo, osservò, ci sembra di poter dire che nessuna si è intestata rivoluzioni o anche grandi riforme pro donne. Come dire: magari rompono il tetto di cristallo, ma non scuotono la piramide dei patriarchi dalle fondamenta. E dunque possono essere lasciate passare, anche salire in cima. Il loro contropiede non bucherà il catenaccio del sistema, non ci proveranno neppure.
Rovesciando «il teorema di Hillary» in casa progressista, dovremmo dedurne che – temendo terremoti e ribaltamento di poltrone – le candidate migliori sono state lasciate sventolare come bandiere a mezz’aria, finché non si sono lacerate. Nel frattempo, un partito che si chiama Fratelli d’Italia ha capito che con questa leader – preparata, pronta- avrebbe vinto e non ci ha pensato due volte.
L’ultima domanda, la terza, forse la più importante. La stagione che comincia con il giuramento di questa mattina rappresenta una minaccia per i diritti, tra cui quelli delle donne?
L’identità, lo abbiamo visto, non garantisce in automatico politiche, investimenti, sensibilità «al femminile». È stata tuttavia Giorgia Meloni, nella notte settembrina del trionfo elettorale, a definire il suo «il tempo della responsabilità». E le responsabilità non sono solo macroeconomiche, esistono – e non di serie B – responsabilità civili. Che scaturiscono dai nostri valori liberali. Che abbracciano testa e cuore dell’Europa alla quale apparteniamo: dalle radici antiche fino ai fiori e agli ultimi boccioli.
Ci aspettiamo con fiducia che, ignorando il tifo delle curve, non ci saranno passi indietro rispetto a conquiste che in Italia sono state faticose e ancora vanno rafforzate. Pensiamo alle leggi, ai trattati Ue, ma ancora di più a quel patrimonio comune di diritti e realtà quotidiane che sono la nostra vita. E che sarebbe un errore tentare di cambiare a maggioranza.