Corriere della Sera, 20 ottobre 2022
La folle vita del rapinatore dodicenne
È partito da Fez, in Marocco, poi dal porto di Tangeri è riuscito a raggiungere l’Europa. Bilal ha viaggiato per la Spagna infilato tra il pianale e il motore di un camion. Aveva 9 anni. Racconta una storia che sembra incredibile: un anno in Spagna tra Malaga, Barcellona, Alicante, San Sebastian; poi un anno in Francia tra Parigi, Marsiglia e Tolosa, ma anche in Germania a Colonia e Francoforte, in Danimarca, in Olanda. «Lì mi hanno arrestato, mi hanno chiuso in un carcere. Ma un carcere non come in Italia, dove si può giocare alla Playstation».
Bilal è seduto sul gradone di un’aiuola della stazione Centrale. Sono le dieci di mercoledì sera. È appena arrivato da Genova con un Frecciarossa. È tornato a Milano dopo essere «evaso» per la quinta volta in otto giorni da una comunità. I carabinieri lo hanno portato meno di 24 ore prima, dopo averlo fermato proprio in Centrale per aver cercato di rubare l’orologio a un turista malese.
Indossa una tuta beige Puma, sotto ha una maglietta nera dei New York Yankees, ai piedi un paio di Vans. Dimostra almeno sedici anni, sul viso ha una sottile peluria. Sulle braccia i segni dei tagli che si è inferto qualche settimana fa con una bottiglia spaccata. «Ho dovuto fermarlo, è solo un ragazzino», ricorda un connazionale che s’avvicina durante il racconto.
Fuma di continuo, fuma e offre sigarette agli altri amici marocchini (parecchio più grandi di lui) che gli stanno intorno. I capelli sono lunghi, ha delle meches bionde ormai quasi sbiadite. Bilal racconta storie che non sembrano vere, non sembrano possibili. Un bambino partito da solo dal Marocco («I miei genitori non volevano, ma io desideravo solo l’Europa») e sopravvissuto incredibilmente in una selva di città, notti in strada e guai. «Non dormo qui, ho una casa con alcuni amici a Rho. Volete andare?».
Bilal dice di avere altri due appoggi a Milano. Il suo racconto è dettagliato. Potrebbe essere inventato, ma parla in modo fluente spagnolo, francese, tedesco: «Poco l’inglese». Anzi le sue parole sono una sorta di esperanto: mischia termini di più lingue, ma in modo sempre preciso. Perché scappi? «Perché non voglio stare chiuso. Mi piace essere libero, girare. Non ho bisogno di niente».
Poi Bilal infila le mani sotto la tuta, dalle mutande sfila una mazzetta di banconote: «Non mi credete? Sono 600 euro. C’era un tizio sul treno che dormiva, glieli ho presi». Dice che domani manderà 400 euro ai genitori a Fez, perché «tutto quello che rubo mi serve per mandare soldi a loro». I 200 euro che restano «li spendo: mi compro le sigarette, da mangiare, i vestiti».
«La mia famiglia non vuole che rubi. Ma mio fratello più grande non aiuta la mia famiglia, mio papà ha un caffé, ma più piccolo dei vostri bar. Ha più di 50 anni, quando non riuscirà più a lavorare, come farà la mia famiglia?». Dice di avere altri fratelli e sorelle. «Sono arrivato in Italia da tre mesi, forse quattro. Ho girato: Roma Termini, Napoli, Torino Porta Susa, Genova. Venezia Santa Lucia, bellissima».
Le città hanno i nomi delle stazioni dei treni con cui si muove di continuo. A Torino lo hanno beccato con un amico dopo aver cercato di rapinare un 77enne. Il suo complice è stato arrestato, lui libero perché non imputabile. Ma non chiede di lui. La sua ossessione è Adil, 14 anni, anche lui marocchino. «Lo hanno arrestato più di un mese fa. Aiutatemi a trovarlo, è come mio fratello. Io sono qui a Milano per lui, posso pagargli l’avvocato, posso farmi mandare i soldi dai miei genitori per pagarglielo».
Il racconto di Bilal attraverso gli atti giudiziari è scarno, quasi indecifrabile rispetto alle parole di un ragazzo molto più sveglio della sua età. Non è chiaro se chi gli sta intorno lo faccia per affetto o se, invece, viva sull’indotto dei suoi furti. Lui ogni tanto allunga una sigaretta, oppure dallo zaino tira fuori pacchetti di patatine che distribuisce come se fosse un fratello maggiore. «La tuta l’ho presa ieri, pagata 130 euro. Vedi qui? I carabinieri me l’hanno sporcata, adesso devo comprarne una nuova».
Bilal ruba, non lo nasconde. I furti commessi in questi mesi a Milano sono molti di più di quanti ricostruiti finora da polizia e carabinieri. Conosce bene i modelli degli orologi più preziosi. In via Manzoni ha tentato di sfilare un Rolex a un turista americano: «Quello era un bell’orologio, ci avrei fatto tanti soldi. Sai come mi hanno preso? Mi hanno inseguito due ragazzi in moto, mi sono venuti addosso». È quasi strafottente quando racconta di come le forze di polizia italiane non possano fargli niente. «Mi devono lasciare andare, nessuno mi può arrestare».
Poi però, quando un volontario di un’associazione si ferma a lasciargli un piatto che sembra gulash, lui accenna al futuro: «Trovatemi un lavoro, mille euro al mese. Mi bastano e non rubo più». Bilal, sei troppo giovane per lavorare: «Ho un amico a Napoli, ha la mia età e lavora». E la scuola? «Ci sono andato un anno, in Marocco: ho rubato una penna a un compagno, poi ho picchiato lui e l’insegnante. Ho fatto un casino». Noi hai paura? Lo sguardo diventa fisso: «Paura, io?».
Il vociare intorno a lui si fa silenzioso. «Tutti dobbiamo morire, non si può vivere con la paura di morire». Sul corpo ha i segni della vita in strada, chiede una pomata per curare la scabbia. Ai carabinieri hai detto che ti droghi ma in ospedale non hanno trovato tracce di stupefacenti. «Come no, prendo due pastiglie di queste al giorno. Bilal apre lo zaino e tira fuori un pezzo di blister di Rivotril, uno psicofarmaco. «Adesso quando ho finito vado a comprarne altre dieci, vado qui dietro alla Centrale».
Prende un sorso di birra e le manda giù. La voce è impastata, le parole sono trascinate nella bocca. Poi si sdraia sul gradone dell’aiuola mentre intorno gli addetti dell’Amsa spazzano via un tappeto di rifiuti e bottiglie. «Lui è un caso unico – racconta il volontario, anche lui marocchino -. Ne ho visti tanti in strada, mai un ragazzo così sveglio, con una storia così incredibile alle spalle». Bilal si volta, sorride. Gli allunga una sigaretta.
Saresti disposto a farti aiutare? «Sì, però non voglio stare chiuso in comunità. Voglio anche essere libero di stare qui, di uscire. Questa è la mia vita». «Bilal ha bisogno di una persona che lo guidi, che lo conquisti e conquisti la sua fiducia. Ma va salvato», aggiunge il volontario. Con sé ha anche un borsello a tracolla: «È del mio amico che hanno arrestato con me martedì sera. Ha detto che tempo un giorno ed è fuori, devo darlo a lui». Lo custodisce con attenzione. Com’è Milano? «Bella, ma andrò via. Sto qui solo perché voglio rivedere Adil, finché non lo liberano io lo aspetto qui».