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 2022  ottobre 08 Sabato calendario

Su "La Sibilla. Vita di Joyce Lussu" di Silvia Ballestra (Laterza)

Una cosa che può fare la letteratura è di traghettarci in un viaggio sentimentale attraverso luoghi dell’anima che dipanino paesaggi umani. È un po’questa la sensazione che ho provato leggendo La Sibilla, di Silvia Ballestra. Romanzo, memoir, taccuino di viaggio, diario intimo, appena pubblicato dall’editore Laterza. Un viaggio straordinario nell’esistenza e nell’anima di quella protagonista segreta del nostro secolo che è stata Joyce Lussu. Non è facile come sembra fare di questo materiale intimo un materiale letterario di tale portata, ci vuole maturità, stile, esperienza e soprattutto amore. Un sentimento di cui ci pare di sapere tutto, ma del quale, quando trattato da una penna così appassionata, scopriamo di sapere poco. L’amore di cui parla Silvia Ballestra nel suo libro, infatti, ha una caratura specialissima perché riguarda la passione per i luoghi, l’affezione per le idee, l’individuazione di uno scopo, l’attaccamento alle cause, il disinteresse per il tornaconto diretto e, certamente, la narrazione di un’attrazione sensuale feroce. L’infanzia agiata e progressista; la tendenza errabonda: Firenze, le Marche, la Svizzera, l’Africa, la Sardegna; l’antifascismo come destino: fratello, padre e marito aggrediti in tempi diversi dalle squadracce; la causa femminile in tempi non sospetti e assai pericolosi per simili prospettive; l’innamoramento, furiosamente ricambiato, per Mr. Mill, per il Capitano, per Emilio Lussu. Lei bellissima, cosmopolita, fuori dagli schemi, lui allampanato, con quel che di calorosamente distante che hanno certi sardi resi aristocratici dall’istruzione presa molto su serio. E uno intransigente fino all’estremo, Emilio Lussu. Allo zio che gli prospettava per lettera “conoscenze” tra i fascisti illuminati, o per forza, che potessero alleviargli, o persino interrompere, il confino in cui si trovava scrisse: «Considero mio nemico personale chiunque voglia interferire nella mia posizione di confinato politico per provocare qualunque provvedimento di clemenza». Nello stile secco e asciutto, apparentemente scevro da qualunque possibile passionalità, che, al contrario, Joyce, la sibilla, trovò attraente e profondissimo, per tutta la loro lunga vita insieme. Ma non lasciamoci trarre in inganno dal falso piano della prospettiva sentimentale: questo non è un libro sulla storia d’amore tra Joyce ed Emilio, per quanto questa stessa sia stata assai importante nelle economie esistenziali di entrambi. Ma un viaggio attraverso un’esistenza completa. Anzi, alla fine del libro si ha la netta impressione che la protagonista sia riuscita nel miracolo di vivere due o tre vite insieme. E questo è il risultato di un prodigio ottenuto dalla scansione multistrato della scrittura di Silvia Ballestra, che qui raggiunge un grado di necessità davvero speciale. È più che probabile che questa misura, questa adesione senza sforzo, questo grado genetico del narrare, dipenda dalla condizione di vivente, in costante rapporto con la narratrice, che il personaggio Joyce Lussu, mantiene nelle pagine di questo bellissimo resoconto. E cioè che l’averla conosciuta e frequentata, negli anni della vecchiaia nelle Marche, averne sentito la voce, averne osservato i gesti, abbia definito per intero il tono aperto, sapientemente, e volutamente, non finito, di questa storia. Ci sono modi e modi di definire vite, di prendersi carico di biografie altrui, spesso con lo stupore di apprendere esperienze davvero fuori dal comune. E ci sono autori semplicemente genuflessi alla vita che raccontano. Non è il caso di Silvia Ballestra, che racconta un corpo a corpo con un modello di donna totale, che ha, tuttavia, resistenze anacronistiche o qualche autolesionista assenza di capacità di compromesso. La sibilla Joyce Lussu raccontata in questo libro non è santificata, non siete in presenza di un’agiografia laica. Ma di un modello femminile che rivendica persino i suoi difetti ed è distante anni luce dall’idea che possa sussistere un modello aureo di donna. “Una donna, pensa Joyce, può farcela anche dove tre uomini hanno già fallito”. Una vita assolutamente straordinaria dunque raccontata con la magnifica nonchalance di chi sa di aver attraversato, e, a tratti delineato la Storia. Si legge, in LA SIBILLA, di una vita attiva di un personaggio che si intreccia con la vita della scrittrice, ne sposa e ne rappresenta le istanze, come l’elaborazione e la rivendicazione di un pensiero femminile che sia libero da luoghi comuni o rappresentazioni immobili.

C’è un punto della narrazione in cui questa precisa istanza pare determinante, quando si racconta della collaborazione di Joyce Lussu con la rivista LA DONNA che nasce nel 1944 in seno al Partito d’Azione. Al momento di stabilire a quale donna si fa riferimento ecco che si tenta un breve repertorio del femminile possibile “Operaie e professioniste, massaie e intellettuali, contadine ed impiegate, giovani e madri di famiglia, questa è la vostra rivista. Leggetela, diffondetela e collaborate con noi”. Repertorio in cui la maternità appare come condizione fra le tante possibili e non certo l’unica a certificare la femminilità. E questo resta un argomento vivo, enzimatico, per tutto il corso della sorprendente lettura di questo sorprendente libro in cui si dipana la vita di una protagonista assoluta della nostra storia recente, una Joyce che non vive la sua tensione intellettuale come un privilegio o un’arma. “Una Joyce che viaggia per il mondo, tratta alla pari con gli uomini, non si cura delle convenzioni, non abbassa mai la testa e anzi si fa valere senza nessuna paura e senza nessun problema, è una donna pericolosa. Pericolosa in quanto sovversiva, anche, della condizione a lei assegnata in quanto donna”. Ma allora come ora nessuna conquista è garantita e nessun sacrificio è definitivo, quando la storia diventa materia per pochi, e non patrimonio comune, in qualche modo si deve ricominciare: scrivere libri come questo, raccontare vite come questa. Ricominciare, perché “Dio, Patria e Famiglia comincia a diventare il motto anche delle sinistre”.