Corriere della Sera, 19 ottobre 2022
Gli ultimi anni di Freddie Mercury
Erano in centoventimila, sabato 9 agosto 1986, pronti a portare in trionfo la «Regina», ma qualche stima particolarmente ottimista sosteneva che gli spettatori fossero duecentomila, per uno show che tecnicamente non sarebbe mai dovuto esistere. Il tour in effetti avrebbe dovuto chiudersi a Marbella, in Andalusia, quattro giorni prima, ma il promoter Harvey Goldsmith e il tour manager Gerry Stickells, visto l’andamento trionfale delle prevendite, avevano subito programmato un’ultima data. Wembley non era disponibile per un terzo concerto, così sembrò logico opzionare la location più grande che l’Inghilterra potesse offrire: per citare un evento, già nel 1976 da queste parti si erano presentati in centodiecimila per sentire Rolling Stones, 10cc, Lynyrd Skynyrd e Todd Rundgren.
A Stickells piaceva vincere facile: quando i quattro Queen gli dissero che si sarebbero esibiti a Knebworth soltanto se i biglietti fossero andati esauriti, il tour manager rispose: scommetto che li venderemo tutti non appena annunceremo la data. Andò esattamente così. La data venne aggiunta ufficialmente a tour in corso, dopo che i preziosi tagliandi per le due esibizioni di Wembley e per quella di Newcastle andarono bruciati in poche ore. E Internet ancora non esisteva. Come avrebbe ammesso Brian May anni dopo, «avevamo così tante richieste che avremmo potuto riempire Wembley per una settimana di fila».
Così, nel pomeriggio caldo e umido del 9 agosto 1986, in quella che si sarebbe poi rivelata una serata a suo modo storica, Thomas McGuigan cominciò a godersi quell’incredibile spettacolo dall’alto della sua posizione privilegiata, a cavalcioni di un tubo sul traliccio che reggeva alcuni dei numerosi occhi di bue che da lontano illuminavano il palco largo 55 metri, alto 15 e profondo 20.
Il colpo d’occhio era spettacolare. (…) Il concerto era stato pubblicizzato con il nome di «A Night of Summer Magic», una notte di magia estiva, ma Freddie preferiva chiamarlo «Queen Tornado», e alla fine, guarda un po’, venne ribattezzato così. Mai scontentare Freddie. In ogni caso, qualsiasi nome avesse la giornata, McGuigan voleva gustarsela fino all’ultima stilla di musica. (…)
Il ruggito della folla salì improvvisamente quando due elicotteri si stagliarono all’orizzonte, fecero un giro dietro il palco e atterrarono nel backstage. Le scritte sulle fiancate, queen e a kind of magic, resero chiaro a tutti chi fossero i passeggeri.
Due viaggi da Battersea, la vecchia centrale elettrica sul Tamigi con quattro ciminiere resa celebre dalla copertina di Animals, album del 1977 dei Pink Floyd: venti minuti di volo per planare sul luogo del concerto. (…) I primi a sbarcare furono Brian e John con famigliari e assistenti, quindi fu il turno di Freddie e Roger con seguito. Il pubblico accolse i propri eroi con un boato. (…)
Ne erano successe, di cose, quel pomeriggio, a Knebworth. Persino, pare, sembra, si dice, la nascita di una bimba nel bel mezzo di un’esibizione di contorno: la neomamma evidentemente doveva essere una grandissima fan di Mercury e compagni per presentarsi in mezzo a centoventimila persone correndo il rischio di un parto prematuro. O forse questa è solo leggenda, una delle tante che hanno sempre accompagnato i Queen. (…)
Nessuno sospettava che il 9 agosto 1986 sarebbe stato ricordato come la data dell’ultima esibizione dei Queen. Quello che però Thomas non poteva neppure immaginare è che lui quel concerto non lo avrebbe visto. Né quello né nessun altro, mai più.
Erano le nove e un quarto quando, forse per la stanchezza per essere rimasto lassù tutto quel tempo, forse per un piccolo malore, forse per l’effetto delle birre bevute, forse per una semplice perdita di equilibrio, McGuigan cadde dal traliccio finendo rovinosamente addosso ad alcune persone che stavano ai piedi della struttura.
Si rialzò in piedi malconcio e mezzo intontito, Thomas, ringraziando il cielo di non essersi fatto niente di male, giusto in tempo per non accorgersi che le persone su cui era caduto lo stavano insultando, che una di queste aveva estratto un coltello a serramanico dalla tasca e gliel’aveva infilato nella pancia, una, due, tre volte. E poi ancora. E di nuovo. Un’esecuzione in mezzo a un mare di gente.
Thomas McGuigan venne soccorso con la velocità che permetteva la difficoltà di muoversi tra centoventimila persone interessate a ben altro che a un tizio che, come molti, sicuramente stava smaltendo i postumi di una sbornia. Morì dissanguato mentre l’ambulanza che avrebbe dovuto trasportarlo all’ospedale St. John ancora cercava di districarsi in mezzo alle auto parcheggiate in qualche modo lungo le stradine di campagna. (…)
Della morte per accoltellamento di uno spettatore venne informato Harvey Goldsmith, che però preferì nascondere la notizia alla band fino al termine del concerto: non avrebbero potuto fare niente per salvare il ragazzo, spiegò poi il promoter, e annullare l’esibizione a pochi minuti dall’inizio avrebbe causato inimmaginabili problemi di ordine pubblico.
I Queen, ignari di quanto fosse accaduto lì sotto, diedero il meglio di sé. Davanti a quella folla che ondeggiava di fronte al palco come un campo di grano spazzato dal vento, e che si allungava a perdita d’occhio verso la campagna inglese, anche un animale da palcoscenico come Freddie fece fatica a contenere l’emozione. «Lo ammetto, questo è un posto enorme persino per i nostri standard. È davvero bello da qui! È spaventoso. Voi bastardi siete bravi, devo dirvelo. Ci sentiamo fra un altro paio di canzoni, aspettatemi!» esclamò al microfono dopo aver concluso una spettacolare versione di A Kind of Magic. «Come ci si può separare quando si ha un pubblico come questo? Dico davvero! Non siamo tanto stupidi», aggiunse smentendo, come ogni volta al termine di Another One Bites the Dust, le immancabili voci di imminente scioglimento della band.
E poi il saluto finale, sulle note di God Save the Queen. «Grazie bella gente. Siete stati tremendi… Siete stati un pubblico davvero speciale. Grazie mille. Buonanotte, sogni d’oro, vi vogliamo bene». (…)
Nessuno, in quella notte calda e sudata, poteva immaginare che quello di Freddie era un addio, non un arrivederci. (…)
Solo Mercury ne era cosciente.
E, come lui, Mary Austin, che nel backstage al termine del concerto ne incrociò per un lunghissimo istante lo sguardo. «Era il suo ultimo tour, lo sapeva, ed è stato davvero difficile per lui affrontarlo portandosi dentro tutto quel carico emotivo. Ricordo solo il suo sguardo spento mentre camminava. Io ho guardato lui, lui ha guardato me, ed entrambi sapevamo che quella era l’ultima volta che scendeva da un palco», ha confessato Mary venticinque anni dopo a Bbc Radio 4, in una delle rare interviste concesse.
Era finita. Freddie aveva appena concluso l’ultimo ballo sul palco. Per questo aveva fretta di andarsene da lì. Si cambiò velocemente e scortato dagli assistenti, accompagnato da Jim Hutton e da Roger, si avviò verso l’elicottero che lo avrebbe riportato a Londra. Sull’elicottero, nella notte illuminata dal serpentone dei fanali delle auto in coda per fare ritorno nella capitale, con le luci della città e dell’aeroporto di Heathrow sullo sfondo, Freddie insieme con gli altri membri della band venne avvisato via interfono da Goldsmith dell’uccisione di Thomas McGuigan.
«Ucciso?» chiese incredulo. «E come? Perché? Ma quando? Come è successo?» Mercury apparve molto scosso dalla notizia. Fu una questione di secondi. Pur se coperto dal rumore dei rotori, Freddie prima ascoltò le spiegazioni sommarie di Goldsmith, poi, facendo in modo che il promoter, e non solo lui, lo sentisse chiaramente, replicò gelido: «Se la gente deve morire perché vuole vederci, non farò mai più concerti».
No, non era quella la vera ragione che l’avrebbe tenuto per sempre lontano da un palco. Ma in ogni caso sarebbe stato di parola.