Corriere della Sera, 19 ottobre 2022
Il Picasso da 10 milioni di euro sequestrato 10 anni fa finisce allo Stato
Tre contendenti. Un quadro. Una natura morta di Picasso, valore 10 milioni. Fra i litiganti (un privato, le vittime di un crac e il Fisco) ha vinto – in tribunale – l’Agenzia delle entrate.
A chi il Picasso da 10 milioni di euro sequestrato 10 anni fa? A me, che ho una sentenza della Corte di Appello civile di Milano del 2022 che mi dà ragione nella titolarità di almeno l’80% del quadro, e che sono l’erede dell’ultimo possessore al quale era stato venduto dai suoi proprietari partenopei Gabriella Amati e Angelo Maj, moglie e marito arrestati nel 2011 per il peculato da 33 milioni e la bancarotta da 18 milioni nel 2009 della «Aip-Azienda italiana pubblicità», comproprietaria della società esattrice di tributi locali per il Comune di Napoli e Bordighera nel 2005-2009.
No, va assegnato invece a noi, che siamo i creditori della società fallita, che di beni di valore abbiamo trovato soltanto questo cespite tramite il curatore del fallimento, e che dalla nostra abbiamo il pignoramento del quadro riconosciutoci dalla sentenza penale del Tribunale di Milano sulla bancarotta e peculato del marito (intanto morto) e della moglie (intanto condannata).
Ma quando mai, questo Picasso è mio, che sono il Fisco italiano e ho da far valere il sequestro preventivo emesso nel 2013 dal Tribunale di Milano per reati tributari nel 2012 nella vendita del quadro (ritenuta simulata proprio per sottrarlo al Fisco) all’ultimo possessore.
Chi vince in tribunale fra i tre contendenti del prezioso Picasso? Ieri, alla fine di un labirinto processuale protrattosi quasi un decennio, il gip milanese Anna Calabi deposita – in sede di incidente di esecuzione tra le contrastanti sentenze – la parola fine: che fa felice il Fisco perché assegna non al privato erede dell’ultimo possessore, e nemmeno ai privati creditori del crac imputato ai proprietari dell’opera, ma all’Agenzia delle Entrate i 38 per 55 centimetri del quadro «Nature morte (coffret, compotier et tasse)», dipinto da Picasso nel 1909 nel suo periodo cubista, e a tutt’oggi «congelato» dalla giustizia degli Stati Uniti su richiesta italiana che nel 2013 ne bloccò appena in tempo la vendita in una galleria d’aste di New York.
All’esito di una complicata disamina dell’intreccio di giurisprudenza sulla coesistenza di sequestri e confische, la giudice milanese conclude che «in ogni caso nel bilanciamento tra gli interessi privatistici, espressi dal fallimento, e gli interessi pubblicistici, legati alla confisca, prevale l’interesse pubblicistico. Le ragioni per le quali era stato disposto il sequestro preventivo erano l’impossibilità di giustificare la provenienza lecita del dipinto e la sproporzione del suo valore rispetto al reddito dell’imputata», e «questa ragione prevale su qualunque interesse privatistico che può essere soddisfatto attraverso altri beni».
Da qui la «dichiarazione di inefficacia del pignoramento», e l’acquisizione allo Stato dell’opera «libera da pesi e vincoli con consegna all’Erario». Ora le Entrate, la Procura della Repubblica (con i pm Ilaria Perinu e Stefano Civardi impegnati da tempo a sbloccare la vicenda scaturita dall’inchiesta istruita oltre un decennio fa dai colleghi Luigi Orsi e Sergio Spadaro), e l’Avvocatura distrettuale dello Stato (dove Francesco Vignoli supportava la tesi ora accolta dalla gip) dovranno coordinarsi per il materiale rientro dell’opera dagli Stati Uniti con il ministero dei Beni Culturali, cioè con il soggetto istituzionale che dovrà poi indicare il museo o la sede espositiva più indicati per la valorizzazione del prezioso quadro. Sulla cui destinazione all’Agenzia delle Entrate è fin troppo facile ora sorridere per la scherzosa profezia leggibile nel titolo: che in fondo da oltre un secolo contiene, seppure avente tutt’altro senso in francese, la parola «tasse».