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 2022  ottobre 19 Mercoledì calendario

I 70 anni di attriti tra Usa e Persia

«Amici! Persiani! Patrioti! Ascoltatemi!»: adattando i versi di Shakespeare, l’orazione di Antonio al funerale di Cesare, Kermit Roosevelt, spia Cia a Teheran, festeggiò nel 1953 la vittoria del golpe che rimise sul Trono del Pavone, in Iran, Mohammed Reza Scià, abbattendo il carismatico premier Mohammed Mossadeq, eletto democraticamente. Nipote del presidente Theodore Roosevelt, Kermit Roosevelt era detto “Kim”, come l’eroe di Kipling, agente segreto aristocratico. Il premier inglese Churchill insisteva con la Casa Bianca perché eliminasse Mossadeq, che aveva nazionalizzato nel 1951 la Anglo- Iranian Oil Company. Il democratico Truman aveva atteso, il repubblicano Eisenhower fece scattare l’operazione “Ajax”, con “Kim” e il team Cia a canticchiare per inno la ballata Luck Be a Lady, dal musical “Bulli e Pupe”.
Kermit Roosevelt, ricorda Stephen Kinzer nel saggio All the Shah’s Men,scontentò Eisenhower, «robaccia da libro giallo», ma il danno era fatto. Lo Scià impopolare, Mossadeq eroe e i semi dell’odio fra Washington e Teheran piantati, tra brindisi e pianoforti. Allo Scià venne assegnato il ruolo di bastione nella Guerra Fredda, in cambio dell’accesso alle armi moderne: il “Consortium agreement” del 1954 umilia l’Iran, appaltando il 40% dell’industria del greggio a Usa, Regno Unito e Francia. Ancora Eisenhower, nel 1957, radica il rancore fra i due grandi paesi, con il Programma Atomi per la Pace, fornendo a Teheran un reattore e uranio arricchito, la tecnologia che ora si cerca di eliminare, con gli accordi di Obama, stracciati da Trump. Il 14 settembre 1960, nasce l’Opec, cartello dei produttori di petrolio, con Arabia Saudita, Venezuela, Kuwait e Iraq, e lo Scià garantisce gli interessi Usa. Nel 1972, il presidente Nixon vola in Iran, la terza moglie dello Scià, Farah Diba, elegantissima incanta i fotografi, per siglare un patto che, di nuovo, crea infiniti lutti. Lo Scià dovrà contrastare l’Iraq, alleato dell’Urss, con accesso a nuove armi, pagate dai profitti record del greggio, seguiti alla guerra arabo-israeliana del 1973.
È l’ultimo atto, il Paese è pronto alla rivolta, malgrado i 5000 agenti della polizia politica Savak arrestino e torturino studenti democratici e si accaniscano contro i comunisti (ad addestrare la Savak è il generale H. N. Schwarzkopf, padre del generale Usa che libererà il Kuwait da Saddam nel 1991). Per anni, il generale Hassan Pakravan, capo Savak, pranza ogni settimana con il Gran Ayatollah Ruhollah Khomeini, agli arresti domiciliari, un po’ per sorvegliarlo, un po’ per rabbonire i fedeli sciiti. Il successore Nematollah Nassiri sceglie la linea dura, non basta.
Nel dicembre del 1979, il mondo accorre a Teheran, dall’inviata Fallaci al filosofo Foucault: Khomeini prende il potere, delude gli incantati ammiratori occidentali, elimina il premier liberale Bazargan e il presidente progressista Banisadr, dichiara jihad contro Israele per “esportare la rivoluzione”, grido raccolto da Hezbollah in Libano.
Saranno i 444 giorni del rapimento dei 52 diplomatici americani all’Ambasciata di Teheran, novembre 1979-gennaio 1981, a marchiare per sempre Usa e Iran. Il presidente Carter tenta un blitz infausto, 24 e 25 aprile 1980, in piena campagna elettorale contro Ronald Reagan, l’operazione Artiglio d’Aquila fallisce miseramente, sei elicotteri Usa perduti, otto militari morti. Reagan vince, anche grazie a questo fallimento, e gli ayatollah, in scherno a Carter, rilasciano i prigionieri, dopo gli umilianti accordi di Algeri, il 20 gennaio 1981, primo giorno della presidenza repubblicana.
Per compiacere gli Usa, il despota iracheno Saddam Hussein scatena una guerra che vedrà onde umane di poveri fanti scontrarsi nel deserto e che, dal settembre 1980 all’agosto 1988, lascia sul campo un milione di iraniani e mezzo milione di iracheni. Milizie sciite, ispirate da Teheran, colpiscono a Beirut militari Usa e francesi il 23 ottobre 1983, i 241 caduti americani convincono Reagan alla fuga dal Libano.
Il goffo scandalo Iran-Contras vedrà i nemici iraniani, nel 1985, ricevere armi da Washington, in cambio dei sette ostaggi ancora detenuti e, tra processi farsa, costerà caro al presidente Reagan. Da allora un seguirsi di incidenti, l’operazione Mantide Religiosa del 1988, scontri navali e bombardamenti, sanzioni imposte da Bush padre e Clinton, l’incontro tra la segretaria di Stato Albright e il viceministro iraniano all’Onu nel 1998, le scuse Usa per il golpe di “Kim” Roosevelt contro Mossadeq. Bush figlio raggela tutti, includendo l’Iran tra i Paesi dell’”Asse del Male”, nel 2002, il presidente estremista Ahmadinejad, a sorpresa, scrive allaCasa Bianca nel 2006, chiedendo accordi, che arriveranno con Obama, nel 2015. Trump li cancellerà nel 2018, il leader supremo Ali Khamenei riprenderà il programma atomico e, dopo scontri nel Golfo di Hormuz nel ’19, il 3 gennaio 2020 un drone Usa uccide il capo delle milizie di Teheran, generale Soleimani.
Il presidente Ebrahim Raisi e il presidente Joe Biden non sbloccano l’intesa nucleare, e, a 70 anni da “Bulli e Pupe” a Teheran, la guerra eterna vola sui cieli dell’Ucraina.