la Repubblica, 19 ottobre 2022
La villa bordello di Pisky- Radkivski. Lì, dove i russi facevan il loro bunga-bunga
«La casa delle feste? È vicino alla ferrovia. Il cancello esterno è verde, di ferro, ma è chiuso da un po’». Non c’è abitante di Pisky- Radkivski che non sappia indicare con precisione dove si trova la villetta. Non foss’altro per quella scritta lasciata dai soldati russi all’ingresso e tuttora visibile: “Entra, non aver paura. Quando esci, non piangere. Ps: fanteria”. Un invito, una minaccia o chissà cosa. Durante i cinque mesi di occupazione, il cancello rimaneva spesso aperto fino a notte fonda. Musica a volume alto, urla, voci femminili, bottiglie di alcool che rotolavano sul pavimento, risate. E, talvolta, pianti.La storia della casa delle feste di Pisky-Radkivski non è tutta nera, né tutta bianca. Sfuma in tonalità di grigio che ogni persona di questo villaggio quasi invisibile sulla mappa interpreta a modo suo. «Le ragazze di Pisky ci andavano volontariamente», «no, erano costrette a fare sesso coi russi», «ci andavano ma si facevano pagare con vodka e schede sim russe», «ridevano e ballavano», «una l’ho vista piangere», «si prostituivano», «una l’hanno rapita», «se ne sono andate coi russi quando è stato liberato il villaggio», «non tutte, qualcuna è ancora qui»... Il campionario di voci che si mette insieme facendo un po’ di domande in giro basta a spiegarne la complessità.Pisky-Radkivski potremmo definirlo un paese di frontiera: è al confine tra le regioni di Kharkiv e di Donetsk e, secondo chi è rimasto, almeno un quaranta per cento delle persone parteggiava per gli invasori russi arrivati coi carri armati il 15 aprile. Dopo la liberazione della fine di settembre, la polizia ucraina ha detto che qui tanti uomini sono stati picchiati e maltrattati in uno scantinato- camera delle torture vicino alla palazzina dell’amministrazione. È ilposto dove hanno trovato una scatola con denti e corone d’oro e di ferro, erroneamente scambiata per una pratica terrificante in stile campo di concentramento e che, invece, è risultata appartenere al dentista locale. Di stupri le autorità di Kiev non hanno parlato.Dunque, la casa. È una villetta di mattoni povera e sporca: il pergolato, il capanno per gli attrezzi, il cortile sterrato pieno di cianfrusaglie. I muri parlano. Oltre alla scritta firmata dalla fanteria (da queste parti hanno combattuto unità di buriazi, ceceni e russi), si leggono altri messaggi: “Gli uomini migliori della Russia stavano comprando hashish”, verso di un popolare brano rap; “1941-1945, 2022”; “Ecco come passiamo i migliori anni della nostra gioventù in Ucraina, dove si fa la guerra”.Halyna, una signora di 65 anni che vive nel quartiere e parla italiano avendo lavorato per anni a Roma, è convinta che il gran via vai non fosse affatto spontaneo. «Qui facevano sesso brutto», racconta. «I soldati entravano nelle nostre case e se vedevano delle belle ragazze le invitavano alla casa delle feste minacciandole coi fucili». Halyna ha sotterrato gli elettrodomestici nel giardino, perché «i separatisti ci rubavano le cose». Sostiene di aver visto una diciottenne che piangeva vicino al cancello. «Tutto il villaggio sa cosa accadeva, conosco una ragazza, figlia di una mia amica, costretta a partecipare alle serate. Se ne è andata da Pisky. Le famiglie si vergognano e non denunciano».La convinzione di Halyna, tuttavia, non è condivisa da chi abita proprio accanto alla villetta con le scritte. «È vero che facevano chiasso, bevevano e fumavano con le ragazze di Pisky, ma non credo che le obbligassero ad avere rapporti sessuali»,dice Voldymyr Globa, 66 anni, di professione farmacista. Anche Alex e Andrii, studenti di medicina di 26 e 22 anni rimasti nel villaggio, pensano che non di coercizione si trattasse ma di libero arbitrio. «Ma quali schiave del sesso!», fa Alex. «Volevano divertirsi e ricevere dei regali. Come vi spiegate, altrimenti, che abbiamo tutte lasciato il villaggio un attimo prima che fosse liberato?».In effetti, durante la giornata trascorsa a Pisky-Radkivski, paese delle tante verità e tutte negate, per strada si incontrano solo anziani, uomini e adolescenti. Troviamo Mykola, 35 anni, con un sacco di patate sulle spalle, che racconta nel dettaglio come è stato torturato per cinque giorni e detenuto per altri venti. «Non mi hanno portato nello scantinato, ero in una cella insieme ad altri quindici uomini». Dove sono le ragazze che entravano nella casa delle feste? Mykola alza le spalle. «Se ne sono andate coi soldati. Forse si sono innamorate, o forse dopo essersi fatte vedere con loro temevano di essere accusate di collaborazionismo. Non so dire se siano state costrette ad avere rapporti sessuali. So però una cosa: quei giorni sono stati difficili, per tutti».