Il Messaggero, 19 ottobre 2022
Fare musica con la tecnologia spaziale
Jean-Michel Jarre, 74 anni, non compone musica di facile ascolto, ma vanta un sacco di primati «commerciali». Ha venduto oltre 80 milioni di album e il suo disco più famoso, Oxygène, ha totalizzato 12 milioni di copie solo in Francia, diventando il più venduto di sempre nel Paese. La sua musica sperimentale e ferocemente elettronica ha sbancato anche in Cina (Oxygène e il successivo Équinoxe furono i primi dischi occidentali a essere trasmessi dalla radio cinese) e con concerti megagalattici persino sulla Piazza Rossa di Mosca. Ora Jarre torna con Oxymore, disco particolarissimo per le tecniche innovative utilizzate, ovvero inciso in versione binaurale multicanale in 3D.
Ci spieghi questa cosa così complessa.
«Il disco è un omaggio al compositore Pierre Henry che è stato un mio maestro. Negli anni ’40 teorizzava l’ascolto immersivo e spaziale. Questo suono rivoluziona il modo in cui la musica viene composta e suonata collocando i suoni nello spazio a 360 gradi e può connettersi virtualmente con tutti grazie a delle cuffie».
La tecnologia avanza...
«Sì, se tecnologia vuol dire progresso, integrazione, comunicazione. Questo disco non è stato pensato per un ascolto stereo, ma è il prodotto di una tecnologia spaziale. Lo stereo è un’invenzione umana, questa tecnologia aprirà la strada a nuove generazioni di compositori».
Cos’è oggi la musica elettronica?
«Tanti pensano che derivi dall’America degli anni ’80, però la musica non è fatta di note, ma di suoni. Negli anni ’40 in Francia c’era il movimento della Musica Concreta e addirittura nel 1910 in Italia c’era Luigi Russo che sperimentava nuovi strumenti. La musica elettronica non è apparentata col blues o col jazz e neppure con il pop, ma con la musica classica, anche se io spesso mi muovo all’interno della cultura pop. Ogni epoca ha le sue regole; negli anni ’60 Elvis si muoveva tra 45 giri, jukebox e concerti, io mi muovo secondo altre regole».
Lei ha creato la città musicale-virtuale di Oxyville...
«Sì, è un luogo dove posso sperimentare e tenere concerti in luoghi dove non appaio fisicamente e fare altri esperimenti».
Cultura e musica possono aiutare una società così in crisi?
«Con i loro messaggi lo possono fare. Senza cultura la società si estingue, la cultura è una parte fondamentale della società. Anche libri e film sono realtà virtuale perché uno ci si tuffa e incontra nuove esperienze e nuovi personaggi».
Al contrario di suo padre, lei si è dedicato poco al cinema, scrivendo una sola colonna sonora.
«La musica è il mio film personale, e poi forse non ho trovato la mia controparte adatta, come fecero Rota e Fellini. Fellini prima di morire mi disse ho fatto tanti film ma faccio sempre la stessa cosa che continua a crescere. Così hanno fatto anche i Beatles o i Pink Floyd. Per un artista la musica è l’opera della vita, e io voglio contribuire con la realtà virtuale».